Testo
|
PARERE SUGLI EFFETTI DELL'APPLICAZIONE DELL'ART. 1.56 DELLA L. N. 662/96 PER GLI ORDINI E COLLEGI PROFESSIONALI
1. Il Comitato Unitario Permanente degli Ordini e Collegi professionali CUP chiede un parere sugli effetti prodotti dall'art. 1.56 della l. n. 662/96 per gli ordini e collegi professionali.
2. L'art. 1.56 citato prevede che "... le disposizioni di legge e di regolamento che vietano l'iscrizione in albi professionali non si applicano ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno". E' evidente che questa norma consente a un numero più ampio di persone, finora escluse dalla iscrizione in albi, di iscriversi a volgere attività professionale.
Questa disposizione fa riferimento a numerose norme sui dipendenti pubblici che vietano l'esercizio delle professioni: per gli impegni civili, dpr n. 3/57, art. 60; l. 70/75, art. 8; d.lgs. n. 29/93, art. 58; per i dipendenti di enti locali r.d. n. 383/34 art. 41; per i dipendenti di enti pubblici non economici, i singoli regolamenti, che prevedono il divieto di esercizio di attività professionali.
Peraltro, i divieti non sono sempre assoluti, potendo i dipendenti svolgere attività se autorizzati (sulla differenza tra i due casi ha insistito Cass. Sez. n. civi., 17.8.90. n. 8355, 20.8.90, n. 3431 e 29.4.91, n. 4732; si veda anche Cass., Sez. n. civ., 22.3.91, n. 1722).
Inoltre, altre norme consentono l'esercizio di attività professionale: per esempio, per il personale docente (previa autorizzazione), dpr n. 417/74, art. 92; per il personale degli enti pubblici parastatali l. 70/75, artt. 15 e 16; per il personale del ruolo professionale delle U.S.L., dpr n. 761/79, artt. 1 e 3; per i dipendenti dei ruoli professionali del parastato, dpr n. 509/79, artt. 18 e 20; per i professori universitari, dpr n. 382/80, art. 11; per i sanitari ospedalieri l. n. 132/68 e dpr n. 130/69. Del tutto diverso il problema per i dipendenti di enti pubblici economici (Cass., Sez. n.civ., 11.2.93, n. 6490).
3. Prima di esaminare le disposizioni sulle quali questa norma va ad incidere, si considerano gli aspetti soggettivi ed oggettivi della norma in sè.
Sotto il profilo soggettivo, la norma si applica ai "dipendenti delle pubbliche amministrazioni". Si riferisce, quindi, a tutti gli organismi elencati dall'art. 1.2 del d.lgs. 29/93.
Talune categorie di personale sono, tuttavia, escluse dalla norma stessa: si tratta del personale militare, di quello delle forze di polizia e degli appartenenti al Corpo nazionale dei vigili del fuoco (art. 1.57), nonchè dei dipendenti di enti locali con pianta organica inferiore alle cinque unità (art. 1.65).
A questa esclusione espressa ne va aggiunta un'altra implicita: non potrà applicarsi la norma a quelle categorie per le quali o esiste una specifica normativa dei tempi di impiego e delle incompatibilità, oppure la disciplina del tempo parziale o non è prevista o non è stata ancora introdotta. Nella prima categoria rientrano i docenti universitari e il personale medico (per queste categorie il Dipartimento della funzione pubblica, con circolare 3/97 del 19.2.1997, ha riconosciuto che il "regime speciale delle attività consentite opera ... al di fuori della .... disciplina del "part time"). Nella seconda categoria sono inclusi, invece, i dirigenti (per questi, la circolare del Dipartimento della funzione pubblica n. 3/97 del 19.2.1997 ha espressamente escluso che il "personale con qualifica dirigenziale" possa "chiedere il passaggio al tempo parziale").
Nè l'elenco delle esclusioni soggettive finisce qui. Vi è un'altra specie di soggetti per i quali l'iscrizione agli albi continua ad essere vietata, perchè il divieto non è soppresso, anche se questa specie non è indicata dall'appartenenza ad una categoria. Si tratta del "caso in cui l'attività lavorativa di lavoro autonomo .... comporti un conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta dal dipendente ..." (art. 1.58) (questo comma esclude anche i casi in cui la trasformazione del rapporto comporti "grave pregiudizio alla funzionalità dell'amministrazione"; questa fattispecie non viene qui esaminata perchè riguarda l'amministrazione in quanto tale, non il rapporto amministrazione- attività professionale). In questo caso, la norma prescrive che l'amministrazione "nega la trasformazione del rapporto" in rapporto a tempo parziale, e quindi, non si realizza il presupposto che legittima la iscrizione all'albo.
La circolare 3/97 citata aggiunge che "l'impegno a non svolgere attività che possono concretamente confliggere con quelle istituzionali della propria amministrazione dovrà essere formalizzato nel contratto individuale".
Mentre l'esclusione per categorie (per esempio, forze di polizia, dirigenti, ecc.) è semplice, l'esclusione dalla norma che solleva il divieto, operata sulla base del conflitto di interessi, è complessa, sia perchè comporta un'analisi persona per persona, sia perchè i criteri per individuare i casi di conflitto di interessi non sono individuati dalla legislazione se non in casi eccezionali e costituiscono fattispecie molto più complesse delle esigenze di servizio e delle incompatibilità regolate dalle vigenti norme sui diversi tipi di impiego pubblico.
Sotto il profilo oggettivo, la norma contenuta nell'art. 1.56 citato solleva un divieto, quella della "iscrizione in albi professionali". Dunque, la norma non innova le disposizioni che non vietano l'iscrizione in albi professionali, ma o vi obbligano, o la consentono o la prescrivono mediante iscrizione in albi speciali.
Queste disposizioni restano salve, come ha riconosciuto, in via esemplificativa, anche la sopra citata circolare n. 3/97 per il caso specifico degli psicologi.
4. Individuata la portata della nuova norma in termini soggettivi ed oggettivi, si passano, ora, ad esaminare i suoi rapporti con le norme vigenti, per rispondere al seguente quesito: quando una legge abbia dichiarato non applicabili divieti alla iscrizione in albi di taluni soggetti, potrebbero gli stessi ordini e collegi, quali organismi reggenti di ordinamenti sezionali, conservare o introdurre divieti o limitazioni? E' evidente che il quesito si pone in quanto le professioni costituiscono ordinamenti in senso proprio, sia pure riconosciuti e regolati dall'ordinamento generale dello Stato.
Per esaminare il problema ora posto occorre prima considerare le norme generali del codice civile, poi quelle che regolano gli ordinamenti delle singole professioni.
L'art. 2229 c.c. contiene due disposizioni che interessano. Per la prima, perchè l'esercizio di una professione venga condizionato all'iscrizione in un albo, occorre una legge. Per la seconda, l'accertamento dei requisiti è demandato agli ordini e collegi, salvo che la legge disponga diversamente. Dalle due disposizioni si ricava che deve essere la legge a stabilire obblighi e requisiti di iscrizione ad albi; agli ordini e collegi spetta l'attività di accertamento dei requisiti.
Quanto alle norme degli ordinamenti professionali, si può dire che la maggior parte disponga, in forma negativa o positiva, un divieto su un presupposto stabilito "per relationem" agli ordinamenti applicabili agli impiegati pubblici. La formula più diffusa è quella che l'iscrizione non è consentita agli impiegati pubblici ai quali, secondo gli ordinamenti loro applicabili, sia vietato l'esercizio della libera professione.
Ma si trova anche la stessa formula, in versione positiva, per cui gli impiegati pubblici ai quali sia consentito o non sia vietato, secondo gli ordinamenti delle rispettive amministrazioni, l'esercizio della professione, possono essere iscritti all'albo.
Il rinvio all'ordinamento statale di appartenenza per i dipendenti pubblici è previsto anche nei casi in cui ai dipendenti pubblici, secondo gli ordinamenti loro applicabili, sia vietata di norma l'esercizio della libera professione, ma consentita l'iscrizione nell'albo con annotazione a margine attestante il loro status giuridico professionale e lo svolgimento di attività professionale solo nei casi ed alle condizioni previste dal rapporto di pubblico impiego.
In sostanza, sia pur con conseguenze diverse (divieto di iscrizione; iscrizione con annotazione; in questo secondo caso, con esercizio limitato della professione o divieto di esercizio della professione), le norme finora considerate hanno lo stesso ambito soggettivo dell'art. 1.56 sopra citato (si riferiscono agli impiegati e dipendenti dello Stato e delle altre pubbliche amministrazioni) e dispongono norme non autonome, perchè rinviano ai divieti disposti dagli ordinamenti applicabili agli impiegati e dipendenti pubblici.
Diversi i casi degli ingegneri e degli architetti, dei notai, dei consulenti del lavoro e degli spedizionieri doganali. Per ingegneri ed architetti il r.d. n. 2537/25, art. 62, consente l'iscrizione nell'albo di dipendenti pubblici, con espressa autorizzazione del capo gerarchico, ed esclusione ove vi sia incompatibilità prevista da legge, da regolamenti generali o speciali, ovvero da capitolati.
Anche in questo caso, sia pure in modo meno preciso, l'ordinamento professionale rinvia all'ordinamento statale o comunque pubblico che regola il rapporto di lavoro. Diverso è il caso dei notai, per i quali la l. n. 89/13, art. 2, dispone che l'attività professionale è incompatibile con qualunque impiego pubblico; dei consulenti del lavoro, per i quali la l. n. 12/79, art. 4, dispone in via assoluta il divieto di iscrizione all'albo dei dipendenti pubblici; e degli spedizionieri doganali, per i quali la l. n. 1612/60, art. 7, prevede che non possono esercitare alcuna professione.
In sostanza, tolti i casi indicati da ultimo, le disposizioni sulle professioni non regolano autonomamente la materia, secondo criteri che siano propri di ogni singola professione, ma dispongono sulle incompatibilità facendo rinvio alle norme dell'ordinamento statale generale applicabili ai dipendenti pubblici.
5. Accertato che le norme sugli ordinamenti professionali, circa la possibilità di iscrizione agli albi professionali, si limitano a recepire i divieti stabiliti dallo statuto dei diversi tipi di dipendenti pubblici, ci si può chiedere se gli ordini e collegi professionali potrebbero stabilire autonomamente limiti all'iscrizione oppure l'iscrizione in elenchi speciali o con annotazioni.
L'ordine o collegio non può disporre autonomamente limiti all'iscrizione. Infatti, dalle norme dell'art. 2229 sopra citate si ricava che i requisiti per iscriversi debbono essere stabiliti dalla legge; il collegio od ordine può provvedere solo al loro accertamento.
Anche la situazione di appositi elenchi o albi separati e la previsione di annotazioni devono essere disposti dalla legge. In questo senso Cons. St. III, parere 2.12.86, n. 1555, che ha illustrato i rapporti tra lo svolgimento di pubbliche funzioni e l'esercizio delle libere professioni: "le previsioni di albi speciali, di elenchi speciali, di particolari annotazioni negli albi o negli elenchi ordinari, soprattutto se tendono a discriminare i professionisti, ed a limitare l'esercizio dell'attività professionale per taluni di essi, non possono essere disposte con atto amministrativo, ma devono essere stabilite con legge" (peraltro, il Tar Lazio III, con sent. 24.12.84, n. 1050, ha ritenuto legittima l'istituzione da parte di un collegio di un elenco speciale in cui iscrivere i professionisti, dipendenti da enti pubblici non economici; tale orientamento è stato fatto proprio anche dalla Direzione generale affari civili e delle libere professioni del Ministero di grazia e giustizia con lettera 10.1.86, prot. 7/62/33795; con altra lettera, 9.10.91, prot. 7/62/4310, lo stesso organo ha, però, richiesto una norma che autorizzi o riconosca la costituzione di elenchi o albi speciali).
Si può dire, quindi, che fatti che comportino l'esclusione della capacità professionale o limitazioni della stessa debbono essere previsti nella legge.
6. Si è finora accertato che le norme sugli ordinamenti professionali rinviano a quelle sui dipendenti pubblici e che gli organi reggenti gli ordinamenti professionali non possono disporre limiti generali o parziali all'iscrizione ad albi. Non si deve, però, trarre da ciò la conclusione che gli ordinamenti professionali, in quanto costretti ad attenersi ai divieti statali e alle norme che tali divieti abrogano, non siano provvisti di mezzi per regolare l'accesso alla professione.
Gli ordini e collegi professionali, infatti, hanno, tra i loro compiti principali, quello di stabilire regolare deontologiche e, tra queste, regole attinenti ai conflitti di interessi. Ora, così come, per una parte, l'amministrazione deve accertare se l'attività professionale comporti per il dipendente "un conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta" (art. 1.58 l. n. 662/96); per l'altra parte, l'organo reggente l'ordinamento professionale deve compiere analogo accertamento, per considerare se le specifiche mansioni del dipendente pubblico siano tali da produrre un conflitto di interessi con l'esercizio della professione.
Questo accertamento va, naturalmente, svolto caso per caso, perchè il conflitto di interessi può prodursi solo in casi specifici. MA nulla esclude che l'organo che regge l'ordinamento della professione, anche per rendere più chiara una materia così oscura e più prevedibile la propria condotta, stabilisca i criteri generali di massima ai quali attenersi.
7. In conclusione:
a. l'art. 1.56 l.n. 662/96 consente l'iscrizione agli albi professionali di dipendenti pubblici (ma non di tutti) che lavorino a tempo parziale, aumentando, così, il numero dei professionisti a tempo parziale;
b. ove si volesse limitare l'accesso agli albi dei dipendenti pubblici a tempo parziale non si potrebbe ricorrere alle norme che regolano le incompatibilità; infatti, anche se si accettasse la tesi che gli ordinamenti professionali hanno proprie regole, distinte (ma non separate) da quelle dello Stato, bisognerebbe riconoscere che le disposizioni sulle incompatibilità 8con poche eccezioni) sono dettate solo in quanto tale incompatibilità è disposta dagli ordinamenti che regolano i dipendenti pubblici; per cui, così come gli ordinamenti professionali, rinviano alla disciplina dello "status"e del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici per i divieti, essi debbono prendere atto di tale disciplina quando essa solleva il divieto, abrogandolo;
c. per limitare o contenere l'iscrizione di dipendenti pubblici a tempo parziale non è neppure possibile che, nell'esercizio della loro autonomia, gli organi reggenti degli ordinamenti professionali decidano di disporre un divieto o l'obbligo di iscrizione in albo o elenco speciale o di iscrizione con speciale annotazione, perchè ciò può essere disposto solo da atto con forza di legge;
d. gli ordini professionali, tuttavia, sia perchè chiamati a dettare regole deontologiche, sia perchè giudici dei conflitti di interessi, sono competenti a definire, anche in termini generali, i casi nei quali, presentandosi conflitti di interessi, l'iscrizione non è consentita.
8. Da punto vista operativo, appare consigliabile che gli ordini e collegi:
a. preparino un elenco preciso delle categorie alle quali continua ad applicarsi il divieto di iscrizione nel senso indicato al precedente paragrafo 3;
b. redigano uno schema di dichiarazione del dipendente pubblico che intenda iscriversi ad albo, nella quale questi:
- dichiari di non appartenere a categorie escluse e di non trovarsi in conflitto di interessi con la pubblica amministrazione;
- descriva analiticamente le mansioni svolte alle dipendenze della pubblica amministrazione e i rapporti che queste producono con altri soggetti;
- si impegni a tenere aggiornato l'ordine o collegio di ogni cambiamento;
c. redigano, in termini generali, una disciplina del conflitto di interessi, dal punto di vista dell'ordine professionale stesso.
|