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IL RUOLO DEGLI ORDINI PROFESSIONALI DELL'AREA TECNICA
(Agronomi, Architetti, Chimici, Geologi, Ingegneri)
Le dichiarazioni di intenti, da parte di esponenti del Governo, in merito alla c.d. "liberalizzazione" delle professioni dopo quella del "commercio" inducono i Consigli Nazionali dei Dottori Agronomi, degli Architetti, dei Chimici, dei Geologi e degli Ingegneri, tutti appartenenti all'area tecnica delle professioni liberali, a prospettare alcune preoccupazioni.
Si premette che i professionisti sono favorevoli alla riforma degli Ordini e condividono in pieno gli obiettivi che si è data la Commissione istituita presso il Ministero di Grazia e Giustizia nell'assolvimento dell'incarico ricevuto di stendere le linee di una nuova legge quadro sulle libere professioni, trattandosi di finalità che essi in larga parte già perseguono.
Tanto più che la Commissione non sembra affatto intenzionata a proporre una riduzione delle funzioni degli Ordini e tanto meno la loro trasformazione in associazioni, tendendo piuttosto a modernizzare queste istituzioni, per adeguarle alla realtà sociale, alle nuove esigenze del mercato ed alla innovazione tecnologica.
Non può, infatti, sottacersi che una cosa è la riforma che si va delineando nella Commissione ed altra cosa è quella che con tanto clamore viene annunciata su tutti gli organi di stampa e televisioni e che porrebbe, qualora fosse attuata, una serie di problemi sotto molteplici aspetti.
- Dal punto di vista "costituzionale", va rilevato che l'ordinamento delle professioni liberali in Italia, quale è venuto delineandosi negli ultimi decenni, trova un fondamento proprio nella Costituzione, laddove, all'art. 33, comma 5, viene stabilito che "è prescritto un esame di Stato ... per l'abilitazione all'esercizio professionale". La norma, che fa parte dei "Rapporti etico-sociali" esclude che l'esercizio professionale possa essere equiparato all'esercizio di una attività imprenditoriale.
- Dal punto di vista del diritto comunitario, va rilevato che tutte le Direttive europee sulle professioni sono state man mano recepite nell'ordinamento italiano, sicché non può ipotizzarsi, allo stato attuale, alcun contrasto fra il nostro ordinamento e quello comunitario. Anzi, è in atto ormai da tempo un flusso di professionisti provenienti dai Paesi comunitari che vengono ad esercitare la loro professione nel nostro Paese e trovano la migliore accoglienza nei nostri Ordini ed Albi.
- Gli Ordini dell'area tecnica hanno sempre sostenuto i propositi di rinnovamento che sono emersi dai lavori della Commissione operante presso il Ministero di Grazia e Giustizia, anticipandoli con una azione tesa ad affermare la necessità di operare per assicurare:
- la formazione di base, che deve essere la più ampia possibile e comprendere l'etica professionale;
- la diversificazione dei livelli universitari (lauree e diplomi) per soddisfare variegate esigenze del lavoro, da quello applicativo a quello innovativo;
- la specializzazione dopo la laurea per corrispondere alle attese del mondo del lavoro;
- l'educazione continua per mantenere ed aggiornare il patrimonio di conoscenza dei professionisti;
- la riqualificazione professionale quando la deindustrializzazione o la trasformazione delle aziende la richiedano;
- il potenziamento dei rispettivi sistemi informatici e di comunicazione al servizio degli Ordini provinciali, degli iscritti, delle Università e delle fonti di lavoro in genere.
Tuttavia, forse per effetto di pressioni da parte del mondo confindustriale (OICE, FITA, ecc.), che da tempo si distingue per una decisa azione intesa ad eliminare, o quanto meno a sterilizzare gli Ordini professionali, si è andata sempre più diffondendo l'idea che i soggetti esercenti le professioni intellettuali possono essere qualificati come imprese, trascurando il fatto che per le professioni protette (il cui esercizio è subordinato all'esame di Stato ed all'iscrizione in appositi albi) gli aspiranti a detta iscrizione devono presentare particolari requisiti di moralità.
Ciò non esclude la concorrenza, la quale non può essere ricondotta però alla sola sfera economica.
La riforma auspicata degli Ordini ha come fine primario la tutela dell'interesse pubblico a che determinate attività professionali siano espletate da soggetti la cui preparazione e moralità siano state seriamente vagliate. La salvaguardia del segnalato interesse pubblico finisce così con il coincidere, di fatto, con la salvaguardia dell'interesse privato del cliente-consumatore ad ottenere prestazioni qualificate da parte del libero professionista.
Ed è ben per questo che gli Ordini si dedicano ad assolvere con grande scrupolo gli importanti compiti dalla legge loro affidati, soprattutto con riferimento a quegli aspetti della loro opera che trovano rilievo e protezione nella Costituzione e cioè, la salvaguardia della sicurezza delle persone, il rispetto dell'ambiente e la tutela dei beni culturali.
Infine, è nel campo dell'etica e della deontologia professionale che gli ordini svolgono un ruolo assolutamente insostituibile, esercitando una funzione sociale di tutela nei confronti dell'interesse pubblico e della collettività, a meno che non si vogliano sottoporre le professioni liberali al dominio totale delle leggi del mercato, per privilegiare una logica mercantile che assoggetti ogni principio di qualità e di deontologia professionale.
Una strada pericolosa che rischierebbe di produrre solo fenomeni degenerativi, per la commistione fra attività che devono essere mantenute indipendenti e che non possono essere concentrate sotto un solo potere senza incorrere nei pericoli di malaffare che il Paese ha già conosciuto.
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