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Rif. DV08935
Documento 06/12/2004 RELAZIONE
Fonte COMMISSIONE DEL CNSU
Tipo Documento RELAZIONE
Numero
Data 06/12/2004
Riferimento
Note
Allegati
Titolo REGIME DEI SUOLI - PROPOSTE PER LA NUOVA LEGGE URBANISTICA NAZIONALE
Testo CENTRO NAZIONALE STUDI URBANISTICI

Regime dei suoli - Proposte per la nuova legge urbanistica nazionale

1 - Il criterio della perequazione

Con il termine "perequazione" nella letteratura specializzata (ma anche nei testi e proposte di legge) si raggruppano una serie di tematiche riguardanti in generale i criteri mediante i quali si persegue l’equità distributiva tra le proprietà fondiarie assoggettate dai piani urbanistici a trattamenti differenziati che determinano situazioni di sperequazione tra aree che si trovano sostanzialmente in situazioni analoghe; in particolare tra quelle assoggettate a vincoli (di legge e/o di piano) e le aree adiacenti, classificate come edificabili o per lo meno non soggette a vincoli.

Una seconda accezione attiene invece al profilo operativo: infatti in sede di attuazione delle previsioni dei piani urbanistici la perequazione è ormai considerata uno dei principali strumenti per l’acquisizione delle aree destinate dai piani ad uso pubblico, senza ricorrere alla tradizionale manovra dell’esproprio.

Questi due obiettivi assegnati alla perequazione riguardano esigenze che sono presenti da molto tempo - potremmo dire da sempre - nella politica e nella pratica urbanistica del nostro paese, ma che oggi possono essere perseguiti in modo concreto, nel contesto di un forte cambiamento dell’impostazione del governo del territorio e degli strumenti di pianificazione, che emerge da molte esperienze, ed è sancito dalla proposta di legge in discussione nel Parlamento.

La diffusa applicazione, negli ultimi anni, di strumenti di concertazione pubblico/privato e l’articolazione del tradizionale piano in due livelli (strutturale ed operativo) rispondono, infatti, ad una nuova logica dell’intervento pubblico, che supera una tradizionale separazione di compiti. Finora il perseguimento dell’equità è stato demandato alla politica di spesa pubblica, mentre il prelievo fiscale sull’edilizia e il territorio è stato utilizzato ai fini del gettito, senza diretta relazione fra i due canali. In altri termini, siamo abituati ad "anticipare" i costi dei servizi e delle infrastrutture con risorse pubbliche, per poi "recuperarli" attraverso tariffe e tasse. Oggi questo non è più possibile, ma occorre far concorrere da subito gli operatori privati anche per le opere di interesse generale e non solo per quelle relative allo specifico intervento, che sono garantite dagli oneri di urbanizzazione tradizionali, peraltro computati in modo troppo spesso indifferenziato, secondo categorie ormai obsolete.

L'inadeguatezza di questo sistema tradizionale è evidente in una situazione (comune a tutti i paesi sviluppati) di risorse pubbliche calanti e di costi crescenti della gestione degli insediamenti e della tutela ambientale, che comporta la necessità di un diverso rapporto pubblico/privato; tale inadeguatezza è evidentemente accentuata dalla diffusione urbana, che moltiplica i casi in cui un’attività di scala metropolitana (pensiamo ad esempio a un inceneritore o a un grande ipermercato) ha caricato finora i suoi effetti (danni ambientali o, all’opposto, prelievi fiscali) sul comune in cui è insediata, senza compensazioni (a carico o a favore) di tutti i comuni del bacino servito dall’attività.

2 - La casistica applicativa

Nella realtà locale - e nella pratica urbanistica- il criterio di perequazione viene utilizzato applicandolo a situazioni e casi molto diversi, che andrebbero invece esaminati e trattati in maniera differenziata. Facciamo soltanto qualche esempio.

1) Il perseguimento di criteri di equità distributiva tra le proprietà coinvolte nei piani urbanistici attuativi; come effetto non secondario, l’acquisizione delle aree destinate ad uso pubblico senza ricorrere all’esproprio.

2) L’eliminazione (o almeno la riduzione) delle sperequazioni che insorgono tra le aree sottoposte a vincoli di interesse paesistico e/o ambientale e le altre aree, libere da vincoli; in subordine l’eventuale acquisizione di tali aree o parte di esse.

3) Le compensazioni a livello di area vasta tra i Comuni che sono penalizzati dalla previsione di interventi con forte impatto ambientale (ad esempio inceneritori, discariche, ecc.) e quelli che invece ne risultano avvantaggiati perché li utilizzano traendone vantaggi senza subirne gli inconvenienti.

4) Le sperequazioni che insorgono tra proprietà che si trovano in situazioni urbane sostanzialmente analoghe, e che sono incluse dai piani urbanistici comunali nelle zone edificabili, ma classificate alcune come zone di completamento (e quindi con oneri molto più ridotti) ed altre nelle zone di espansione (con oneri maggiori).

5) Le sperequazioni che insorgono tra le proprietà che vengono avvantaggiate - e quindi aumentano di valore - in seguito alla realizzazione di opere e/o infrastrutture pubbliche importanti; situazioni che una volta venivano compensate attraverso i contributi di miglioria.

6) Il trasferimento di diritti edificatori da zone dove per motivi diversi non possono essere utilizzati ad altre zone più idonee; compresi gli incentivi da dare ai proprietari delle aree "di atterraggio" per compensarli degli inconvenienti derivanti da aumenti eccessivi di cubatura,.o semplicemente per la maggiore complessità delle procedure.

7) Le cosiddette "premialità", consistenti nel concedere aumenti dei parametri edificatori qualora l’operatore privato si impegni a realizzare interventi edilizi finalizzati al miglioramento delle condizioni urbanistiche ed ambientali del contesto.

3 - Gli strumenti operativi

La nuova legge nazionale - anticipata da alcune leggi regionali e, surrettiziamente, da molte sperimentazioni in sede di piani urbanistici - sanziona l’introduzione del criterio della perequazione sia per porre rimedio alle disuguaglianze determinate dai piani che per agevolare l’acquisizione delle aree destinate ad uso pubblico.

La perequazione si attua utilizzando lo strumento del comparto - generalmente nei piani attuativi (comparto urbanistico) ma anche per interventi edilizi complessi su più proprietà (comparto edilizio Legge 1150/1942). Questo in effetti è diventato il percorso normale per perseguire la perequazione; e la legge nazionale sanziona in maniera definitiva queste situazioni soprattutto mediante la possibilità di imporre la perequazione ai proprietari renitenti; inoltre, nell’Art.10 della proposta, interviene anche sulla perequazione a livello di area vasta.

Con questo meccanismo effettivamente trovano soluzione - almeno sotto il profilo teorico - i casi illustrati nel precedente paragrafo ai numeri 1-2-3. Tuttavia nella pratica - come hanno dimostrato numerose esperienze - non sempre è facile applicare la perequazione. Ad esempio, se un proprietario è renitente è molto difficile imporla coattivamente; ma a questo inconveniente dovrebbe porre rimedio la nuova legge nazionale, con norme specifiche, come la trasferibilità dei titoli di edificazione, con la detassazione dei passaggi dei proprietà che si rendano necessari. L’esperienza di questi anni ci ricorda, comunque, che, soprattutto nel caso di interventi urbanistici che comprendano molte proprietà, il meccanismo diventa complesso e di difficile applicazione; per cui spesso i progetti si bloccano, e rimangono fermi finchè l’ambito d’intervento non viene semplificato, limitando le dimensioni del comparto alle sole proprietà che sono consenzienti, e riducendo quindi anche gli effetti strategici che si vorrebbero ottenere nei programmi di intervento e riqualificazione urbana. .

In questi casi sarebbe comunque utile avere a disposizione un meccanismo perequativo generalizzato, in grado di colpire in modo semplice tutte le proprietà coinvolte. Dagli studi elaborati dal CNSU negli ultimi anni emerge che questo meccanismo deve essere sostanzialmente di natura fiscale: ossia fondarsi su un uso adeguato dell’ICI. La nuova legge già propone questo strumento per la perequazione di area vasta, e potrebbe quindi ammettere la possibilità, in via alternativa all’applicazione del criterio di perequazione con il trasferimento dei diritti edificatori, di applicare l’ICI a livello locale, in maniera differenziata per le aree sottoposte a vincolo rispetto alle altre.

Questo uso dell’ICI sembra certamente adeguato per i casi 4, 5, 6, 7 del paragrafo precedente (che potremmo definire come interventi di compensazione).

Si potrebbe anche ipotizzare di utilizzare l’ICI in modo più ampio, come manovra fiscale per incamerare il plusvalore generato dai piani sulle aree edificabili, da utilizzare poi come giusto ristoro per acquisire al demanio pubblico le aree assoggettate ad esproprio, che non si è potuto acquisire tramite concertazione. Si costituirebbe così una cassa di compensazione dalla quale prelevare, al momento opportuno, le risorse necessarie. E’ una procedura sicuramente complessa e di difficile applicazione, che imporrebbe una forte assunzione di volontà politica da parte delle amministrazioni locali, e potrebbe anche dare luogo a importanti riflessi fiscali; come ad esempio, secondo la tesi originale esposta da Guido Colombo nei precedenti documenti del CNSU, alla possibilità di utilizzare le dichiarazioni ICI per definire i valori delle aree: sia per l’imposizione della tassa che per l’espropriazione.

-L’area vasta

Come abbiamo già ricordato, il problema di un’equa distribuzione dei costi e dei benefici dello sviluppo urbano a scala di area vasta, è evidenziato dal testo di legge in discussione in Parlamento, che prevede esplicitamente "forme di perequazione intercomunale".

Lo strumento, già esistente, cui affidare questo compito può essere ovviamente il Piano provinciale, usandolo non solo come quadro di sintesi delle conoscenze e di assetto del territorio e all’ambiente, ma anche come base di riferimento per stimare i costi dello sviluppo insediativo e per imputare in modo differenziato gli oneri relativi, in particolare quelli riguardanti la tutela e il ripristino della qualità dei luoghi. Dopo la Legge 142, del resto, la Provincia è l’ente responsabile della fornitura/gestione di infrastrutture e servizi di interesse generale e delle politiche di tutela ambientale, e quindi può - anzi, forse, deve -proporsi come promotore di concertazione fra i comuni e controllare "l’offerta" espressa dai vari PRG.

Sappiamo bene, però, che in concreto una "perequazione" di oneri a scala di area vasta è stata finora tentata poche volte, e fortemente osteggiata dai Comuni, in nome delle esigenze di bilancio, della sovranità locale (confermata dalle più recenti leggi regionali), del diritto alla competizione.

Nonostante queste difficoltà, conosciamo anche diversi casi in cui, non per via normativa e per imposizione, ma tramite Accordi di pianificazione, alcuni comuni hanno deciso di gestire insieme grandi interventi, ripartendo poi il gettito che ne deriva (oneri e ICI). La Provincia, e/o le Associazioni di Comuni, possono quindi svolgere un ruolo determinante, non solo per i grandi interventi ma anche per ridurre gli effetti perversi di una diffusione urbana casuale, molto spesso favorita da una politica degli oneri di urbanizzazione che ha tradizionalmente punito gli insediamenti ad alta densità, premiando l’edificazione sparsa che produce maggiori costi ambientali ed infrastrutturali.

-Il piano locale: il livello strutturale o "strategico"

Nel paragrafo precedente si notava che la perequazione "di comparto" può difficilmente affrontare interventi complessi, se non è ancorata a criteri più generali. A quale strumento affidare la loro definizione?

Sia che si aderisca alla linea prevalente in materia di strumenti urbanistici, che prevede la suddivisione del piano comunale nei due livelli, strutturale ed operativo, sia che si preferiscano recenti proposte alternative (Milano e Regione Lombardia) che presuppongono un solo livello comunale articolato in un documento programmatico e strumenti operativi, non c’è dubbio che il governo locale deve disporre di un Piano quadro/scenario con la descrizione completa dello stato del territorio, un sistema di vincoli per la conservazione del patrimonio storico e ambientale, un insieme di scelte a lungo termine, con diverso grado di cogenza, prescrizioni più flessibili all’interno di soglie di compatibilità, regole di concertazione per gli interventi non ancora "maturi".

In questo quadro/scenario, abbastanza definito ma periodicamente monitorato e rivisitato per adeguarlo a nuove esigenze strategiche, si dovrebbe collocare un primo livello di indicazioni perequative, fondato sul bilancio di risorse, vincoli ambientali, dotazioni infrastrutturali, deficit di servizi, insediamenti esistenti, opportunità di crescita, ecc..

Il CenSU ha sempre ritenuto poco utile la via dei "plafond" generalizzati fissati per legge nazionale o regionale (peraltro di difficile applicazione nella stessa Francia), ritenendo opportuno invece che la perequazione si attui a livello locale. In altri termini, ogni territorio comunale (o sovracomunale) nel suo Piano Strutturale (o "piano quadro", o "documento strategico") definisce un suo bilancio, e sulla base di questo stabilisce per ampi ambiti territoriali obiettivi e livelli di edificabilità ammissibili garantiti a tutti i proprietari dell'ambito, con possibilità di scambio all'interno dell'ambito o anche, se opportuno, fra ambiti, secondo una logica ad "arcipelago", come avviene in alcune esperienza già ricordate.

La bozza di legge in discussione in Parlamento può consentire queste opportunità, che sono necessarie non solo per attuare progetti di ampio respiro, ma anche per evitare che la perequazione venga confinata solo all'interno di micro comparti, con tutte le difficoltà già viste, legate all'inerzia dei proprietari (1).

Il Piano Strutturale può evitare alcuni effetti negativi della perequazione, garantendo una visione d'insieme, da un lato mitigando gli eccessi di edificabilità non sostenibili sotto il profilo ambientale, di qualità urbana e di carico infrastrutturale, dall'altro moderando gli effetti economici delle scelte urbanistiche, in quanto - non avendo "efficacia conformativa della proprietà", come ribadisce anche la bozza di legge nazionale - rinvia le destinazioni puntuali dei vincoli e delle edificabilità sulle singole aree e le relative esazioni fiscali al Piano Operativo.

Si può notare, infine, che attribuire al Piano Strutturale la definizione dei parametri da applicare per la perequazione è utile anche per tenere conto della diversità dei territori da pianificare (aree metropolitane, comuni urbani, unioni di comuni scarsamente urbanizzati), in cui non si possono certo applicare gli stessi plafond di edificabilità e le stesse prestazioni di servizi pubblici, e in cui occorre peraltro offrire un quadro abbastanza definito alle politiche di concertazione e di fiscalità locale.

Il piano locale operativo

La perequazione si propone quindi come una politica in due fasi, la prima, generale, entro al Piano Strutturale, l’altra operativa, sensibile all'andamento del mercato ed alle opportunità anche contingenti.

Il Piano Operativo dovrebbe così ricevere una griglia di regole, entro le quali sviluppare le sue azioni: in primo luogo l’analisi puntuale degli ambiti cui è stata assegnata una "dote" di edificabilità per definire diritti e prestazioni da attribuire alle singole proprietà, poi la concertazione con i privati, comprendente la selezione temporale e la valutazione degli interventi, le prestazioni da richiedere agli operatori e le risorse pubbliche da investire, sia sotto forma di beni da rendere disponibili che di "premi" da erogare (riduzione dell’ICI o degli oneri, aumenti finalizzati di edificabilità ecc.), premi previsti anche dalla bozza di legge all’esame del Parlamento.

Per svolgere tali azioni è necessario che la griglia di regole trasmessa dal Piano Strutturale consenta un’adeguata flessibilità.

E’evidente, ad esempio, che nella concertazione - o nel mettere a concorso grandi progetti di riqualificazione urbana - è necessario bilanciare edificabilità ammessa e prestazioni richieste, tenendo conto del limite di convenienza dei privati (il punto di equilibrio del tasso di rendimento degli investimenti), che è legato ai cicli di andamento del mercato immobiliare e dei suoi settori, e non può essere definito in astratto per tutto il tempo di operatività del piano. A questo proposito basta ricordare i tanti casi di riqualificazione urbana falliti per una rigida ripartizione fra gli usi, che imponeva alte quote di edificazione terziaria in contesti di mercato già saturo.

Analogamente, dobbiamo ricordare le situazioni in cui si debbono affrontare costi straordinari, come quelli per la bonifica dei suoli delle aree produttive dismesse, o per altre prestazioni speciali necessarie per ottenere una buona qualità urbana o ambientale: ad esempio, l'amministrazione può perseguire particolari obiettivi di morfologia urbana, chiedendo agli operatori privati di rinunciare a prodotti di basso costo e facile assorbimento da parte del mercato. Ancora, si può avere l'esigenza di mitigare il danno subito dalle proprietà di grandi aree vincolate a inedificabilità, o di correggere gli errori di precedenti piani sovradimensionati, riallocando in aree diverse i diritti di edificabilità già acquisiti.

Piano Operativo e nuovi strumenti per l'amministrazione locale.

Dalla schematica indicazione delle azioni "perequative" che spettano al Piano Operativo emerge con evidenza che si richiede alle amministrazioni locali di acquisire capacità progettuali e manageriali in passato impensabili. Crediamo però di poter affermare che negli ultimi anni le esperienze di urbanistica negoziata e cofinanziata (dallo stato e dalle regioni) hanno fatto crescere e diffuso tali capacità, prima nei grandi comuni già "attrezzati", e, più di recente, anche in aree tradizionalmente ai margini del dibattito sulla pianificazione e nei comuni minori, con il corollario di favorire iniziative associate, indispensabili per affrontare programmi complessi.

Questa tendenza positiva deve però essere ulteriormente consolidata, per ottenere che ogni Comune (o associazione di Comuni) correli in modo rigoroso il proprio Piano Operativo con la redazione del Piano degli investimenti pubblici, per dare certezze agli altri operatori, e per mettere in sintonia, nei limiti del possibile, investimenti pubblici e privati. Ritorna, in un contesto finalmente maturo, l’idea fondante del Ppa previsto dalla Legge 10 del 1977, allora forse troppo in anticipo sui tempi, accompagnata da una nuova concezione del Piano dei Servizi definito per prestazioni, come prevedono le più recenti leggi regionali, e non più per standard meramente quantitativi, oggi non più adeguati alla complessità dei sistemi territoriali..

Un altro problema rilevante per l’efficacia del Piano Operativo è dato dall’attuale situazione del mercato, completamente diversa da quella del tempo in cui occorreva sostenere la produzione edilizia per rispondere alla domanda sempre crescente di case, uffici, fabbriche.

Oggi, nell’elaborare il Piano Operativo occorre cercare di garantire l’equilibrio in ogni fase, tenendo conto dell’andamento del mercato e dei suoi settori: un’eccessiva offerta di aree edificabili - come si è avuta, ad esempio, in comuni con forte quantità di aree dismesse - non comporta automaticamente effetti da mercato "perfetto", in altri termini può non portare ad un abbassamento dei prezzi delle aree e degli immobili, ma limitarsi invece a vanificare programmi ambiziosi di riqualificazione urbana, dissuadendo dal rischio di investire operatori già appesantiti da uno stock di edifici invenduti.

Come strumento di equilibrio è stata segnalata da alcuni studi l’istituzione di una "Banca locale" di diritti di edificabilità, simile all'esperienza USA dei Land Trusts, che detenga una quota di diritti di edificabilità (su aree proprie o acquisiti dai privati) da usare come volano, per "raffreddare" o stimolare il mercato degli investimenti, oltre che per indennizzare i proprietari di aree vincolate dal Piano Operativo, e liberare quindi l'iniziativa degli altri proprietari del comparto che intendono realizzare le previsioni del Piano. E’ un compito che potrebbe essere assegnato alle società di trasformazione urbana (STU) o gestito direttamente dai Comuni; non mancano peraltro precedenti storici, sia pure in un altro contesto economico e normativo: possiamo ricordare i casi classici della ricostruzione postbellica di Amsterdam e Rotterdam e, nel nostro paese la politica di acquisizione di aree a basso costo perseguita in modo empirico da alcune amministrazioni comunali avvedute, ad esempio in Emilia-Romagna negli anni ruggenti del boom edilizio.

5 - L’ICI come strumento perequativo

Dai precedenti paragrafi, pur nella varietà di problemi e soluzioni presenti nel nostro paese, emergono a nostro parere alcune costanti.

La prima riguarda l’abbandono di concezioni astratte e ideologiche della perequazione, a favore di un sistema articolato in grado di connettere strettamente scelte di piano, valutazione economica e uso di tariffe, oneri, incentivi.

Da ciò deriva una seconda costante, e cioè l’applicazione degli obiettivi di perequazione tramite un processo in più fasi, collegato a quelle del processo di pianificazione; fasi intese non come livelli "gerarchici" (piano provinciale, strutturale, operativo) ma come strumenti appropriati alle decisioni da assumere, con diversi orizzonti temporali, legati fra loro in un confronto/monitoraggio permanente. In altri termini, è relativamente poco importante che le diverse regioni o aree italiane adottino la stessa denominazione e articolazione degli strumenti di piano, ma è invece indispensabile che, qualunque sia la soluzione adottata, siano ben distinte le diverse fasi di approccio ai problemi, in particolare per quanto riguarda i temi della perequazione.

Ritornando alla prima costante, dall’analisi dei problemi applicativi è emersa sistematicamente la necessità di legare regole e scelte di piano urbanistico ai programmi economici e alla politica fiscale dei comuni.

E’ quindi, a nostro parere, confermata la proposta avanzata in questi anni dal CenSU, fondata sulla modulazione della fiscalità locale, e in particolare dell’ICI, usata in modo dinamico, a fini propulsivi e perequativi, prima, durante e dopo la realizzazione degli interventi.

Come confermano anche altri studi (ad esempio Stanghellini, 1999, Curti, 1999, Ave, 2004), l’uso dell’ICI come strumento perequativo - ma anche propulsivo, di supporto alla concertazione e in prospettiva utilizzabile anche per regolare i casi residui di esproprio - non solo è pienamente funzionale alla nuova concezione del piano, ma anzi ne costituisce una componente necessaria.

La proposta di legge oggi all’attenzione del Parlamento già si muove in questa direzione, indicando l’ICI come strumento utilizzabile per sanare situazioni di sperequazione a livello di area vasta, ad esempio nel caso di localizzazione di attrezzature di interesse sovracomunale con forte impatto sociale ed ambientale (comma 4 dell’art. 10, "Fiscalità urbanistica").

A livello di piano locale, si potrebbe inoltre proporre:

1) l’indicazione esplicita della manovra sull’ICI fra gli strumenti utilizzabili per la definizione del Piano Strutturale (o "strategico") comunale o sovracomunale;

2) l’applicazione dell’ICI - in via sostitutiva al meccanismo normale di perequazione - per promuovere la realizzazione degli interventi di comparto e utilizzare il gettito della tassa per l’acquisizione delle aree destinate ad uso pubblico, attribuendo valori uguali per le zone non ancora pianificate alla scala di dettaglio, ed invece valori differenziati in quelle già pianificate ed aventi quindi destinazioni specifiche diverse;.

3) infine, ad integrazione di quanto già compreso nel testo di legge, la possibilità di usare l’ICI per la soluzione delle situazione di sperequazione che riguardano i seguenti casi:

a) Il perseguimento di una maggior equità distributiva tra le aree non edificate classificate come zone di completamento e quelle invece comprese nelle zone di espansione; dovrebbe esser permesso ai Comuni di aumentare l’ICI nelle zone di completamento, anche per stimolare l’edificazione nelle zone già dotate di urbanizzazione rispetto a quelle di espansione;

b) il riconoscimento dei vantaggi ottenuti dalle proprietà che aumentano di valore in seguito alla realizzazione di opere e/o infrastrutture pubbliche importanti: in sostanza l’ICI dovrebbe svolgere il ruolo un tempo attribuito ai contributi di miglioria;

c) favorire il trasferimento di diritti edificatori da zone dove per motivi diversi non possono essere utilizzati ad altre zone più idonee; l’ICI potrebbe essere usato come incentivo sia per indurre i proprietari delle aree vincolate a trasferire i loro diritti in altre aree (in questo caso quindi ICI in riduzione) ma soprattutto per indurre i proprietari delle aree "di atterraggio" ad "accogliere" i diritti edificatori provenienti da altre zone.

Al fine di offrire agli enti locali un ventaglio più ampio di opportunità per perseguire gli obiettivi sopra indicati si propongono alcune modifiche ed integrazioni all’art. 11 del testo di legge ("Fiscalità urbanistica"); si veda l’allegato.

Si potrebbe infine prevedere esplicitamente che l’ICI possa essere modulata diversamente prima, dopo e durante gli interventi che si intende promuovere, ed anche articolata in rapporto al tipo di interventi e di operatori coinvolti; ma probabilmente questi sono temi da approfondire, e in ogni caso da risolvere in sede di definizione delle regole del Piano Strutturale, e quindi in una norma "di principi" a livello nazionale sarebbero elementi di inutile complicazione. Sarebbe sufficiente, forse, che queste possibilità non fossero esplicitamente negate; dato che dovrebbero applicarle le amministrazioni locali, il controllo della cittadinanza, sempre più attenta all’entità e all’uso delle tasse locali, sarebbe garanzia sufficiente per un uso corretto di questo strumento.

Roma, 19 Ottobre 2004

(1) Un’alternativa, più "garantista" per i proprietari, fondata sul comparto, potrebbe esse data da un sistema simile a quello in uso da trent'anni in Spagna (le TAU, Transferencias de Aprovechamento Urbanìstico), in cui il piano definisce dettagliatamente diritti di edificabilità e costi di urbanizzazione dovuti, impone l'associazione dei proprietari e la "reparcelacion" perequativa dei terreni; ma quel sistema, secondo commentatori autorevoli, volendo da un lato garantire con chiarezza i diritti dei proprietari, e dall'altro assicurare la realizzazione delle urbanizzazioni e il rapido pagamento delle tasse (al momento stesso della definizione del piano) ha spesso come corollario una massimizzazione dell'edificabilità e una conseguente generale crescita dei prezzi delle aree.

Legge urbanistica nazionale - Nuova proposta di testo unificato (03/03/2004)

Proposte di modifica ed integrazione

Art. 11 - Fiscalità urbanistica

Si propone di inserire i seguenti tre commi dopo l’attuale comma 4..

4/bis - In caso di realizzazione di nuove infrastrutture e/o di attrezzature di interesse urbano o sovracomunale che comportino un miglioramento delle condizioni di accessibilità e della qualità urbana delle zone contermini, l’ICI può essere utilizzata come misura compensativa per la redistribuzione dei vantaggi derivanti alle zone da esse servite.

4/ter - L’ICI può essere utilizzata come strumento per perseguire una maggior equità distributiva tra le aree inedificate classificate dai piani urbanistici comunali come zone di completamento e quelle classificate come zone di espansione, riducendo le sperequazioni derivanti dalla diversa dotazione quantitativa di standard urbanistici, e conseguentemente di oneri di urbanizzazione.

4/quater - L’ICI può essere utilizzata come strumento per favorire il trasferimento di diritti edificatori tra diverse zone edificabili, qualora espressamente previsto dai piani urbanistici comunali.

Roma, 19 Ottobre 2004
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