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Rif. dv09245
Documento 01/01/2006 NOTA
Fonte C.N.I. - C.N.A.P.P.C.
Tipo Documento NOTA
Numero
Data 01/01/2006
Riferimento
Note
Allegati
Titolo PROCEDURA DI INFRAZIONE 2005/4216 EX ART. 226 TCE: NORMATIVA CHE STABILISCE LE TARIFFE PROFESSIONALI DEGLI ARCHITETTI E DEGLI INGEGNERI
Testo Si trasmette in allegato la Nota congiunta con la quale il Consiglio nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori e il Consiglio nazionale degli Ingegneri replicano al parere motivato della Commissione europea (C-2005-5893 del 21 dicembre 2005) in relazione all’oggetto in epigrafe.
Con la Nota congiunta, i Consigli nazionali intendono consentire al Governo e alla Commissione un più compiuto apprezzamento degli obiettivi di interesse pubblico connessi alla tutela della clientela dei servizi professionali e della collettività che giustificano la salvaguardia della disciplina interna dei compensi tra privati degli architetti e degli ingegneri.
A tal fine si è presentato il quadro delle disposizioni in vigore che, alla stregua dell’indirizzo consolidato della Corte costituzionale, ruota intorno al principio della libera contrattazione del compenso professionale e del valore integrativo della tariffa.
L’analisi giuridica ha dimostrato la compatibilità del sistema italiano con i principi comunitari e l’analisi economica ha evidenziato le ragioni per cui il regime tariffario può essere funzionale alla tutela degli interessi pubblici connessi alla tutela degli utenti.
Si rimane a disposizione per qualsiasi chiarimento e/o integrazione.
C.N.I., Il Presidente - C.N.A.P.P.C., Il Presidente Con riferimento al parere motivato della Commissione europea del 21 dicembre 2005 relativo alla procedura alla procedura in oggetto, si precisa quanto segue.
1. La Commissione ha dichiarato la incompatibilità con gli artt. 43 e 49 del Trattato CE delle disposizioni interne che fissano tariffe minime inderogabili per gli architetti e gli ingegneri.
2. Per conseguenza, ha invitato la Repubblica italiana a prendere le disposizioni necessarie per conformarsi al parere motivato entro due mesi dalla ricezione delle stesso.
3. Al fine di permettere la più compiuta valutazione delle iniziative opportune, si ritiene necessario evidenziare come il parere della Commissione non possa essere condiviso in quanto risulta viziato nei suoi presupposti logici, giuridici ed economici.
Premessa 4. Nel parere, la Commissione ha dato atto che la normativa italiana sul compenso tra privati degli architetti e ingegneri " diversamente da quanto opinato nella lettera del 5 luglio 2005 che faceva impropriamente riferimento all’art.17 della legge n. 109/1994, e all’art. 4-12 bis del decreto legge 65/1988, convertito dalla legge 26 aprile 1989, n. 155, che disciplina i lavori pubblici " ha la sua disposizione cardine nell’art. 2233 del codice civile che introduce il principio della libera contrattazione dei compensi professionali.
5. Di conseguenza la Commissione ha preso atto che secondo la legislazione italiana prevarrebbe il principio di libertà contrattuale tra le parti (pag. 3 del parere).
6. Al contempo la Commissione " richiamando, espressamente, la sentenza n. 249/1995 della Corte costituzionale e la sentenza n. 8787/2000 della Corte di cassazione " ha rilevato che "sebbene la Commissione abbia preso atto delle osservazioni presentato dalle Autorità italiane in merito al quadro normativo pertinente, essa osserva che il principio di libertà contrattuale che le Autorità italiane sostengono prevalere, non appare imporsi, in effetti, nemmeno ad opinione delle supreme istanze giusdizionali italiane, rispetto alle tariffe minime obbligatorie per gli architetti in Italia, come risulta dalle disposizioni dalle legge summenzionate (pag. 3).
7. La Commissione ha, altresì, rammentato che "nelle cause C-94/04 e C-202/04 discusse dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee e riguardanti le tariffe applicabili alle prestazioni degli avvocati in Italia, la Repubblica italiana non ha contestato l’inderogabilità di tali tariffe e non ha fatto riferimento all’articolo 2233 del codice civile per dimostrare la prevalenza del principio di libertà contrattuale tra le parti" (pag. 3).
8. La Commissione ha infine rammentato, con le parole della Corte di Giustizia, che "i principi della certezza del diritto e della tutela dei privati esigono che "la normativa degli Stati membri abbia una formulazione non equivoca, sì da consentire agli interessati di conoscere i propri diritti e i propri obblighi in modo chiaro e preciso e ai giudici nazionali di garantirne l’osservanza" (sentenza 6 marzo 2003, causa C-478/01) (pag. 3).
9. Messa in discussione la vigenza ed effettività del principio di libera contrattazione del compenso professionale degli architetti e degli ingegneri, la Commissione ha sostenuto che la tariffa ostacola o scoraggia ingiustificatamente le libertà fondamentali del trattato in quanto non soddisfa le quattro condizioni che - secondo la Corte di giustizia (sentenza 30 novembre 1995, causa C-55/94) - ne potrebbero consentire la ammissibilità: (i) l’applicazione della misura in modo non discriminatorio; (ii) sua giustificazione su motivi di interesse pubblico; (iii) sua idoneità a garantire il raggiungimento dello scopo; (iiii) sua stretta necessarietà per il raggiungimento dello scopo (pag. 6).
A. Il parere motivato della Commissione risulta viziato nei suoi presupposti giuridici per i seguenti Motivi 10. La vigenza ed effettività del principio di libera contrattazione del compenso di architetti e ingegneri non è contraddetta dal riferimento ai precedenti giurisdizionali degli avvocati in ragione del principio di tipicità. Il riferimento ai precedenti relativi agli avvocati è improprio in quanto, nel sistema italiano, non esiste un unitario regime dei compensi professionali, ma tanti regimi quante sono le categorie professionali interessate. In tal senso si è dichiarata la Corte costituzionale nella sentenza n. 192/1984, quando ha affermato che "il compenso del professionista, se non è convenuto dalle parti, va poi determinato, come vuole l’art. 2233 c.c., secondo tariffa. Se così è, la legge che, a sua volta, stabilisce la tariffa con riguardo a ciascuna categoria professionale, non deroga " o tantomeno contraddice " all’art. 2237 c.c., bensì ne integra il disposto, in conformità al sistema del codice”.
10.1 Così come ribadito nella sopra citata sentenza della Corte costituzionale, l’art. 2233 c.c. costituisce la norma cardine del regime dei compensi degli architetti e degli ingegneri, in relazione al quale la tariffa ha valenza integrativa.
11. La vigenza ed effettività del principio di libera contrattazione del compenso di architetti e ingegneri non è contraddetta - ma, piuttosto, è costantemente affermata - dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Diversamente da quanto opinato dalla Commissione, la sentenza della Corte costituzionale n. 249/1995 " che, si legge nel parere, "afferma invece che gli onorari stabiliti alla legge di cui sopra vanno considerati come minimi inderogabili e che qualsiasi accordo contrario va considerato nullo” (pag. 3) " non ha ad oggetto la materia dei compensi professionali. Nella sopra citata sentenza la Corte è stata piuttosto chiamata a pronunciare giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 28, terzo comma, del d.P.R.11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione, nonchè sperimentazione organizzativa e didattica).
11.1 Va piuttosto osservato che il principio della libera contrattazione per gli architetti ed ingegneri è costantemente affermato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Si vedano, per tutti, le sentenza n. 76/1967, n. 32/1974, n. 192/1994.
12. La vigenza ed effettività del principio di libera contrattazione del compenso di architetti e ingegneri non è contraddetta da(ll’eventuale) contraria giurisprudenza della Corte di cassazione in ragione del principio dell’interpretazione conforme a Costituzione. Nell’ordinamento italiano, è opportuno ricordare che la Corte di cassazione ha costantemente accolto il principio dell’interpretazione conforme a Costituzione (da ultimo, ex plurimis, Sez. III civ., 24 marzo 2004, n. 5850) in forza del quale "le leggi non si dichiarano incostituzionali perché è possibile darne una interpretazione incostituzionale, ma perché non è possibile darne una interpretazione costituzionale” (sentt. Corte cost., nn. 356 del 1996; 200 del 1999 e numerose altre). Ne consegue che è doveroso offrire del sistema un’interpretazione costituzionalmente compatibile e tale è " secondo la Corte costituzionale " quella che riconosce alla tariffa valore integrativo rispetto al principio di libera contrattazione ex art. 2233 c.c.
12.1 Ora la circostanza di fatto e di diritto per cui in episodiche sentenze " come quella citata dalla Commissione - la Corte di cassazione ha ritenuto di discostarsi dal sopra citato indirizzo della Corte costituzionale - e dichiarare nullo il patto in deroga alle tariffe professionali - non autorizza la Commissione a concludere che "il principio della libertà contrattuale, che le Autorità italiane sostengono prevalere, non appare imporsi, in effetti, nemmeno ad opinione delle supreme istanze giurisdizionali italiane”. Ciò in quanto non è forse intule ricordare che nell’ordinamento italiano: a) le "controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forsa di legge” spetta ai sensi dell’art. 134 Cost. (non alla Corte di cassazione ma) alla Corte costituzionale; b) il sistema non è retto dal vincolo del precedente giudiziario, per cui il giudice non è tenuto a far proprio l’indirizzo interpretativo della Corte di cassazione, quale giudice di legittimità.
12.2 A ciò si aggiunga che " come, d’altra parte, dà atto correttamente la Commissione " sono numerosissime le sentenze della Corte di cassazione che, nel rispetto del principio dell’interpretazione conforme a Costituzione, escludono la nullità del patto in deroga alle tariffe di architetti e ingegneri (vedi, ex plurimis, sentenza n. 863/2000).
13. La tariffa trova giustificazione nell’interesse generale connesso alla tutela dei clienti dei servizi professionali così come dimostrato ai successivi punti 13.4 e ss.
13.1 La tariffa " come evidenziato dalla Corte costituzionale " svolge una insuperabile funzione orientativa a tutela della clientela nella definizione del competenzo, anche ma non solo in caso di contenzioso (vedi sentenze n. 76/1967 e n. 32/1974) Da quanto precede, si può giungere " in punto di diritto - alle seguenti Conclusioni a) La disciplina italiana sul compenso professionale risponde compiutamente ai principi della certezza del diritto e della tutela dei privati (C.Giust. sentenza 6 marzo 2003, causa C-478/01) in quanto della disposizione dell’art. 2233 c.c. - secondo la quale: "1. Il compenso se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell’associazione professionale a cui il professionista appartiene. 2. In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione. 3. (…)” " può essere data interpretazione alla stregua del "senso … fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore” (art. 12 delle Preleggi); b) La disciplina italiana sul compenso professionale è perfettamente compatibile con l’auspicio della Commissione secondo cui "la libertà contrattuale dovrebbe quindi prevalere fra il cliente e l’architetto/ingegnere, unitamente alla possibilità di adire il Consiglio dell’Ordine o qualsiasi altro organo competente in caso di contestazione di onorari ritenuti eccessivi” (pag. 9); B. Il parere motivato della Commissione risulta viziato nei suoi presupposti economici per i seguenti Motivi 14. Esistenza di obiettivi d’interesse pubblico che possono giustificare la previsione di tariffe professionali, anche con riferimento ai minimi. La Commissione - citando la sentenza della Corte di Giustizia 25 luglio 1991, causa C-76/90 " ha indicato nell’ "interesse pubblico connesso alla tutela degli utenti di servizi” l’obiettivo in grado di giustificare la misura tariffaria (pag. 7).
14.1 Il parere ha negato che le tariffe (minime) possano trovare giustificazione in ragione della tutela degli utenti in ragione del fatto che: a) Le tariffe minime non garantiscono la qualità del servizio in quanto "non possono impedire a prestatori poco scrupolosi di offrire servizi di qualità inferiore” (pag. 8); b) "non appare possibile collegare l’obbligo di rispettare tariffe minime relative agli onorari fissate dalla regolamentazione italiana alla necessità di garantire la qualità dei servizi e la ‘dignità della professione’” (pag. 10); c) l’abolizione delle tariffe minime si traduce in un vantaggio per il mercato e la collettività (pag. 8 e ss.) 14.2 Prima di entrare nel merito delle considerazioni svolte dalla Commissione non si può fare a meno di osservare che le stesse sia alla lett. a) che alla lett. b) del sopracitato punto 13.1 sono essenzialmente fondate sulle (pur autorevoli) dichiarazioni rese in udienza dall’avvocato generale Lèger (pagg. 7, 9, 10). Un’opzione, quest’ultima, che denuncia tutta la debolezza delle tesi della Commissione che appaiono più frutto di una pregiudiziale presa di posizione ideologica che il risultato di una compiuta argomentazione.
14.3 E che tale sia il vizio che inficia la apoditticità delle conclusioni cui perviene la Commissione appare evidente ove si prendano in considerazione i risultati cui è pervenuto lo studio sull’efficienza economica delle tariffe minime, commissionato dagli Ordini e Collegi professionali a docenti delle Università degli Studi di Bologna e Lecce.
14.4 Lo studio ha dimostrato che in un mercato caratterizzato da una forte asimmetria informativa quale quello dei servizi professionali: a) i vantaggi di costo associati al crescere dalla dimensione dell’unità produttiva (studio professionale) non necessariamente si traducono in politiche di prezzo che trasferiscono sui consumatori (clienti) il minor costo del servizio. Ciò in quanto il mercato lasciato a sé stesso potrebbe evolvere verso configurazioni non concorrenziali e quindi inefficenti: la sussistenza di un vantaggio di costo associato alla dimensione può comportare, in regime di concorrenza, l’espulsione dal mercato degli studi di piccole dimensioni e il consolidamento di posizioni che consentono di sfruttare il potere di mercato. Il che può portare, nel medio periodo, alla definizione di strategie predatorie da parte dei professionisti rimasti sul mercato. Ne potrebbe conseguire: non una diminuzione ma un aumento dei costi per i clienti e la perdita di efficienza degli studi conseguente all’esercizio di potere di mercato; b) i vantaggi di costo associati al crescere dalla dimensione dell’unità produttiva (studio professionale) possono " e solitamente favoriscono " una specializzazione e standardizzazione della prestazione nei termini in cui i primi sono favoriti dai secondi. Tale risultato, però, comporta una contrazione del mercato nel determinare " in ragione della standardizzazione richiesta dalle esigenze di economicità - una riduzione dell’offerta a fronte di quella varietà della domanda che caratterizza il mercato dei servizi professionali. Ne consegue che al potenziale beneficio economico connesso alla diminuzione dei costi può contrapporsi la caduta dei benefici sociali della collettività, privata dell’offerta dei servizi ritenuti antieconomici dal professionista; c) i vantaggi di costo associati al crescere dalla dimensione dell’unità produttiva (studio professionale) possono favorire un aumento della dimensione media e l’acquisizione di potere di mercato che comporta un frasferimento di risorse dai piccoli ai grandi studi professionali e quindi l’espulsione dei primi dal mercato. Tuttavia la presenza sul mercato di un elevato numero di professionisti si traduce in un beneficio della collettività nei termini in cui assicura a quest’ultima l’offerta di servizi su tutto il territorio e non solo nelle sedi ove sono dislocate le unità produttive di maggiori dimensioni; d) l’abbattimento dei prezzi minimi può determinare una concorrenza al ribasso, con la conseguente uscita dal mercato dei professionisti più qualificati i quali ritengono non più remunerativa l’offerta di determinati servizi. Il che determina un generale scadimento della qualità dell’offerta. Se è vero che la selezione dell’accesso assicura il possesso dei requisiti minimi di professionalità in capo al singolo professionista è, altresì, vero che quello del mercato dei servizi è un mercato fortemente dinamico che richiede un continuo investimento di tempo e denaro nella formazione. Il che determina, empiricamente, significative differenziazioni tra prestatore e prestatore e solo la presenza di corrispettivi minimi adeguati garantisce la presenza sul mercato dei professionisti più qualificati e assicura effettivamente la possibilità di scelta del cliente. In questa prospettiva il prezzo minimo è funzionale non a garantire la qualità della prestazione ma ad assicurare la permanenza sul mercato di quei profesisonisti (qualificati) che possono assicurare una prestazione di siffatta natura.
Da quanto precede, si può giungere " dal punto di vista economico - alle seguenti Conclusioni a) l’abolizione del minimo tariffario può determinare il pregiudizio della clientela in quanto " dopo una possibile iniziale diminuzione dei costi " il consolidamento delle unità produttive-studi professionali, nel medio periodo, può determinare, a seguito di strategie predatorie, un aumento delle parcelle; b) l’abolizione del minimo tariffario può determinare il pregiudizio degli interessi pubblici connessi alla tutela della clientela e della collettività in quanto il consolidamento delle unità produttive-studi professionali può comprimere la eterogeneità e varietà dell’offerta professionale (a seguito della standardizzazione della prestazione richiesta dalle economie di scala), la diffusione sul territorio dei professionisti (in ragione della loro concentrazione in unità di medio-grandi dimensioni richiesta dalle economie di scala) e l’offerta qualificata di servizi (in ragione della uscita dal mercato degli operatori più qualificati nei casi in cui la concorrenza al ribasso renda per loro antieconomica la prestazione); c) le tariffe professionali minime possono essere funzionali agli interessi pubblici connessi alla tutela degli utenti dei servizi nei termini in cui: (i) scongiurano le strategie predatorie favorite dal consolidamento di unità produttive-studi di grandi dimensione; (ii) assicurano la eterogenità e varietà dell’offerta di servizi professionali garantita dalla permanenza sul mercato degli studi professionali di piccole dimensioni; (iii) assicurano la diffusione sul tutto il mercato dell’offerta professionale garantita dalla permanenza degli studi professionali di piccole dimensioni; (iiiii) assicurano l’offerta qualificata scongiurando l’uscita dal mercato dei professionisti qualificati disincentivati dalla scarsa remunerativà della prestazione; Ne deriva che " alla stregua di quanto ritenuto dalla Corte di giustizia sentenza 19 febbraio 2002, causa c-309/99 - la disciplina italiana del compenso tra privati degli architetti e degli ingegneri è compatibile con l’ordinamento comunitario in quanto: - può essere ragionevolmente considerata necessaria al buon esercizio della professione così come organizzata nel nostro Paese in funzione degli interessi pubblici connessi alla tutela della clientela e della collettività - ed è idonea - alla luce della discrezionalità consentita ex art. 2233 c.c. nell’applicazione del regime tariffario al caso di specie - a tener conto della specificità e delle esigenze della singola offerta professionale, anche e soprattutto allorché sia resa da prestatori degli altri Stati membri.
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