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Rif. SZ02209
Documento 19/01/1995 SENTENZA
Fonte TAR LAZIO
Tipo Documento SENTENZA
Numero 360
Data 19/01/1995
Riferimento
Note INTERO TESTO - INGEGNERE ITALIANO N.260/95 PAG.16
Allegati
Titolo INGEGNERI - SICUREZZA IMPIANTI - ELENCHI PROFESSIONISTI EX LEGGE 46/90 -
Testo - Con il primo gruppo di ricorsi sopra indicati gli ordini e consigli di architetti, chimici e geometri hanno impugnato il D.M. del 22 aprile 1992, con il quale il Ministro I.C.A. ha dettato i criteri per la formazione degli elenchi dei professionisti abilitati alle verifiche in materia di sicurezza degli impianti, di cui alla legge n. 46 del 1990, ricomprendendovi soltanto ingegneri e periti industriali. L'Ordine degli architetti lamenta che l'amministrazione ha immotivatamente escluso la categoria, le cui competenze sono sostanzialmente coincidenti con quelle degli ingegneri ai sensi degli artt. 51-54 del R.D. n. 2537 del 23 ottobre 1925, come confortati dai programmi di studi universitari che prevedono un'unica area disciplinare omogenea (impiantistica) e dalla giurisprudenza amministrativa.


- Il Cons. Naz. Chimici, con due motivi, denuncia eccesso di potere per illogicità e violazione della legge n. 46 e del regolamento di attuazione n. 447 del 1991, i quali non prevedono alcuna esclusione, parlando genericamente di collaborazione di professionisti nell'ambito delle rispettive competenze; competenze che vanno dunque desunte dai rispettivi ordinamenti professionali. In particolare, per quanto riguarda i chimici esse sono contentute nel R.D. 1.3.1928 n. 842, che consente ai chimici di effettuare tutti gli accertamenti relativi agli impianti previsti dalla legge, oltre quelli antincendi per i quali anzi espressamente il D.M. Interni del 25.3.1985 prevede espressamente la competenza dl chimici, architetti e geometri, oltre gli ingegneri e periti industriali.. D'altra parte è illogico che l'elenco preveda periti chimici ed escluda i laureati in chimica iscritti nell'Albo professionale.


- Il Cons. Naz. geometri denuncia con un primo motivo in particolare la violazione dell 'art. 9 del dpr n.447 del 1991, poiché il D.M. impugnato è stato adottato senza sentire gli ordini e collegi interessati; con un secondo motivo viene lamentata l'illegittimità dell'esclusione dei geometri alla luce delle leggi che ne regolano la professione (L. 2.3.1949 n. 144 e R.D. n. 274 del 1929) e della normativa sugli impianti termici (L. 373/1976), che solo essa riserva agli ingegneri i relativi collaudi).


- Con un secondo gruppo di ricorsi i Periti industriali e gli Ingegneri, per mezzo dei rispettivi organismi rappresentativi, impugnano il D.M. del 24 agosto 1992, con il quale l'originario decreto è stato modificato ed inseriti tra i professionisti abilitati alle verifiche sugli impianti anche architetti e fisici. Lo stesso decreto viene impugnato altresì dai chimici per la parte persistentemente omissiva nei loro confronti. Gli ingegneri in particolare lamentano che il decreto richiama un parere del C.U.N., ove illegittimamente si equiparano le lauree in architettura, ingegneria e fisica senza tener conto delle precise indicazioni della legge n. 46, che richiede l'iscrizione ad albi professionali; inoltre (ric. 4039) la legge 46, art. 3, richiede una competenza tecnica specifica, dimostrata, tra l'altro, con il possesso della relativa laurea, che ne' gli architetti ne' i fisici possiedono. Infatti il corso di laurea in architettura prevede l'insegnamento di fisica tecnica ed impianti solo come materia opzionale di una fra le cinque discipline comprese nell'area impiantistica; mentre è obbligatorio per tutti gli indirizzi del corso di laurea in ingegneria. Inoltre (secondo motivo, terzo e quarto motivo) sono state violate tutte le norme procedimentali della legge 241/1990, per difetto di istruttoria, essendosi l'amministrazione limitata a recepire il parere erroneo, illegittimo ed inconferente (siccome riferito all'art. 3 della L, 46) del CUN senza considerare le osservazioni delle categorie interessate e senza averle informate dell'avvio del procedimento.

Comunque il parere del CUN è palesemente illegittimo, perché prescinde dalla necessita' dell'iscrizione in albi professionali e dal chiaro disposto degli artt. 6 e 14 della legge 46, i quali, a differenza dell'art. 3, rinviano chiaramente agli ambiti di competenza fissati dalle rispettive leggi professionali. Infine, l'illegittimita' del provvedimento e confermata dalle leggi n.1412 del l942 e 373 del 1976, che riservano agli ingegneri il collaudo degli ascensori e degli impianti termici.


- I periti industriali con cinque motivi di ricorso (n. 3783) deducono:

l e 2 - illegittimita' del provveddimento fondato solo sul parere CUN relativo esclusivamente alla presunta natura tecnica delle lauree in architettura e fisica, senza adeguata considerazione della di sciplina sulle professioni tecniche e dei relativi albi'professionali, inesistente per i fisici;

3 - Mancano i pareri di tutti gli ordini e collegi professionali, come previsto dall'art. 9 del regolamento n. 447, mentre si e fatto ricorso ad un parere di un organo incompetente quale il CUN;

4 - Con-semplice provvedimento amministrativo sono state modificate le norme sugli ordinamenti professionali, i quali verificano la sussistenza in capo agli iscritti non di astratte conoscenze teoriche ma di specifiche competenze tecnico-professionali, indispensabili per la progettazione, esecuzione e verifica degli impianti previsti dalla legge n. 46; peraltro, l'ordinamento degli architetti individua tali competenze soltanto per le opere di edilizia civile;

5 - Manca ogni articolazione per sezioni basata sul ramo di specializzazione, come invece era stato fatto con l'originario decreto.


- I periti industriali (ric. 4045) a loro volta deducono:

1 - I fisici non hanno un albo professionale, mentre la competenza tecnica degli architetti e' limitata alle opere di edilizia civile; al contrario i periti, con le loro rispettive specializzazioni sono competenti ad effettuare tutti gli interventi stabiliti dalla legge 46, tant'è che l'originario decreto prevedeva ben sei sezioni;

2 - Non sono stati sentiti gli ordini e collegi professionali interessati, manca ogni adeguata motivazione sulla disposta estensione e sul ritiro del precedente provvedimento.


- I chimici, in quanto esclusi dalle categorie abilitate, deducono (ric. 4166) con cinque motivi sostanzialmente le stesse censure formulate avverso il primo decreto ministeriale.


- Gli ingegneri impugnano anche (ric. 4177) il provvedimento del Rettore dell'Università di Roma, con il quale si chiarisce ai fini dell'affidamento di incarichi di progettazione e direzione dei lavori che competenze di ingegneri ed architetti sono sostanzialmente coincidenti; le censure proposte sono sostanzialmente identiche a quelle formulate avverso il D.M. dell 'agosto.


- Gli architetti con gli ultimi tre ricorsi impugnano il D.M. del 17.2.1993, con il quale viene abrogato il precedente decreto dell'agosto e ripristinata l'originaria competenza di ingegneri e periti.

In tutti i processi si sono costituite tanto l'amministrazione che gli ordini professionali per contrastare le pretese delle contrapposte categorie.
All'udienza del 19.1.1995 le cause sono state trattenute per la decisione.



D I R I T T O



1 - I ricorsi in epigrafe indicati debbono essere riuniti per evidenti ragioni di connessione oggettiva, soggettiva e procedimentale.
La questione di fondo sottoposta al Collegio è quella di stabilire le competenze professionali ai fini della corretta applicazione della legge 5 marzo 1990 n.46, dettante norme per la sicurezza degli impianti.

L'art. 1 di tale legge stabilisce il suo ambito di applicazione individuando, al primo comma, sette categorie di impianti relativi agli edifici adibiti ad uso civile (energia elettrica; radiotelevisivi,. elettronici, protezione da scariche atmosferiche; riscaldamento e climatizzazione; idrosanitari; gas; ascensori, montacarichi e simili; protezione antincendio).
Nel secondo comma sono ricompresi anche gli impianti elettrici relativi ad immobili non abitativi (industriali , commerciali ed altri usi).

L'art. 2 stabilisce che le imprese, per essere abilitate all'installazione, ampliamento e manutanzione di tali impianti debbono possedere, tra l'altro, i requisiti tecnico professionali stabiliti per l'imprenditore o, in sua vece, dal responsabile tecnico, dall'art. 3, il quale, a sua volta, individua quattro tipologie di requisiti, tra cui, in particolare, "laurea in materia tecnica specifica" o "diploma di scuola secondaria superiore con specializzazione relativa al settore delle attività" di cui alla legge, con esperienza continuativa lavorativa di almeno un anno nello stesso settore (lett. a ; b).

L'art. 6 della legge sancisce l'obbligatorietà della progettazione degli impianti in questione, da parte di "professionisti iscritti negli albi professionali nell'ambito delle rispettive competenze".

L'art. 14 prevede che per l'esecuzione dei collaudi e delle verifiche di conformità degli impianti in questione le pubbliche amministrazioni competenti (comuni, usl, VV:FF:, Ispesl) "hanno facoltà di avvalersi della collaborazione dei liberi professionisti nell'ambito delle rispettive competenze", secondo le modalità stabilite dal regolamento di attuazione previsto dal successivo art. 15".



2 - Il regolamento in parola è stato emanato con DPR 6 dicembre 1991 n. 447. Esso chiarisce l'ambito di applicazione della legge precisandone gli immobili destinatari e le tipologie di impianto (art. 1), ribadisce l'obbligatorietà della progettazione specifica individuandone i contenuti (art. 4), dispone in merito alla dichiarazione di conformità (art. 7) e disciplina l'attività di verifica.
In particolare l'art. 9 prevede che per l'esercizio della facoltà di avvalersi di liberi professionisti di cui all'art.14 della legge gli enti pubblici preposti alla verifica operano la scelta del libero professionista in appositi elenchi conservati dalle CCIA comprendenti più sezioni` secondo le rispettive competenze e formati annualmente secondo schemi uniformi adottati dal Ministro I.C.A.



3 - A tale ultima disposizione del regolamento governativo ha dato attuazione il Ministro competente con i decreti successivi qui impugnati con i quali prima(D.M. 22.4.1992) si sono ritenuti legittimati all'iscrizione i soli laureati in ingegneria e i diplomati periti industriali, nei rispettivi ambiti di competenza attribuiti dalla legge, secondo le modalita stabilite negli allegati A (ingegneri) e B (diplomati), quest'ultimo articolato in sei sezioni, secondo il tipo di impianti e relativa specializzazione (la chimica industriale è espressamente prevista come specializzazione nella sezione sesta); poi (D.M. 24.8.1992) sono stati inseriti anche i laureati in architettura e fisica); infine (D.M 17.2.1993) è stato abrogato il precedente decreto dell'agosto, con conseguente esclusione di architetti e fisici e ritorno all'originaria limitazione ai soli ingegneri e periti industriali.



4 - Esposto il quadro normativo e provvedimentale in cui si muovono le controversie il Collegio ritiene di dover operare alcune precisazioni preliminari.
La legge n. 46 ha inteso sottoporre a specifica disciplina l'installazione di particolari categorie di impianti seppure al servizio di edifici ed immobili ad uso abitativo, atteso il contenuto di pericolosita' in essi insito ed ai fini dell'adeguamento alle direttive comunitarie in materia. Si tratta dunque di una normativa speciale di rigorosa interpretazione, al fine di non vanificare lo scopo di tutela dell'integrita' fisica dei consociati ad essa sottesa.

Tale scopo viene raggiunto attraverso molteplici meccanismi: anzitutto con la selezione delle imprese installatrici, in secondo luogo con l'obbligo di una progettazione specifica e distinta per ben cinque categorie di impianti relativi ad edifici di uso civile (esclusi quelli idrosanitari e di sollevamento di persone e cose) e per tutti gli altri immobili ( impianti tutti caratterizzati, per la loro realizzazione, dall'impiego di elevata tecnologia e di speciali e complesse conoscenze ed esperienze di natura tecnico-scientifica) ad opera di professionisti iscritti in albi professionali secondo le rispettive specifiche competenze (art. 6 L. 46), in terzo luogo con la previsione di particolari caratteristiche dei materiali e degli impianti (art. 7 L. 46 e artt. 4-7 Regol.); infine con l'attribuzione alle pubbliche amministrazioni competenti di un potere di accertamento tecnico ai fini della verifica della conformita' dell'impianto alle prescrizioni della legge 46 e di tutte le altre disposizioni, al cui esito puo essere condizionata l'irrogazione delle sanzioni di cui all'art. 16 della legge, nonché l'abitabilita' o agibilita' dell'edificio (art. 11 della legge 46.). Tale potere, in virtu' dell'art. 14, puo essere delegato a "liberi professionisti.'...di cui all'art. 6, primo comma" della stessa legge, cioe' iscritti negli albi professionali nell'ambito delle rispettive competenze.

Per l'individuazione di tali professionisti occorre verificare anzitutto, dunque, l'esistenza di un albo con la relativa iscrizione e la sussistenza di una specifica competenza, la quale, in mancanza di una qualsiasi individuazione legale esplicita, non puo essere altro che quella desumibile dai rispettivi ordinamenti professionali, interpretati in correlazione con la natura delle conoscenze specificamente richieste per la particolare tipologia delle opere in questione e dei relativi accertamenti da compiere.



5 - Per quanto concerne ingegneri e architetti soccorre il R.D. 23 ottobre 1925 n. 2537, tutt'ora vigente, il cui capo IV individua l'oggetto e i limiti delle rispettive professioni. In particolare l'art. 51 stabilisce che spettano all'ingegnere il progetto, la condotta e la stima dei lavori relativi, tra l'altro, alle costruzioni di ogni specie, alle macchine ed agli impianti industriali, nonché, in generale, alle applicazioni della fisica. Alla luce di tale dizione onnicomprensiva di ogni competenze costruttiva e di applicazione delle scienze fisiche non e contestabile che rientrino appieno nelle capacita' professionali e nelle attribuzioni degli ingegneri la progettazione e la verifica degli impianti di cui alla legge n. 46, caratterizzati, come gia' detto, dall'impiego di elevate conoscenze nel campo delle scienze fisiche, il ricorso alle quali e' indispensabile per la soluzione dei complessi problemi che comportano le tipologie dei manufatti in questione. Conoscenze che debbono possedere quel carattere di specificità ed approfondimento reso necessario anche dalla pericolosità delle opere da realizzare e verificare.
Tanto non puo dirsi per gli architetti, alla cui competenza non esclusiva ma congiunta con quella degli ingegneri il successivo art. 52 rimette soltanto le "opere di edilizia civile". Al riguardo gli architetti invocano una lettura estensiva della norma, facendovi ricomprendere, sulla scorta di un insegnamento giurisprudenziale, anche tutti gli impianti asserviti direttamente al singolo fabbricato [Cons. St., sez. III, par. 11.12.1984 n. 1538; sez. IV, 19.2.1990 n. 92; TAR Molise 23.5.1990 n. 147: TAR Lazio, sez. II, 16.12.1991 n. 1920; TAR Lazio, sez. I, 23 giugno 1992 n. 927; TAR Valle d'Aosta, 17.12.1993 n. 147].

Ritiene il Collegio che una tale interpretazione giurisprudenziale, riferita in effetti a casi di opere non strumentali al singolo edificio ma all'abitata nel suo complesso, quali parcheggi, impianti di illuminazione esterna, viabilità, fognature, vada adattata al caso di specie ed alla lettura della sopravvenuta legge n. 46, per la quale viene in rilievo non più il rapporto di strumentaliità dell'impianto rispetto all'edificio, quanto piuttosto la sua specificità individuale ai ricordati fini di tutela della sicurezza di persona e cose perseguiti dalla legge in questione. Ed infatti, come sopra evidenziato, essa impone per la quasi totalità delle opere ivi contemplate una progettazione distinta ed autonoma rispetto a quella dell'edificio effettuata dai professionisti nell'ambito delle rispettive competenze, le quali vanno individuate con riferimento alla natura dell'intervento richiesto. Al riguardo soccorrono considerazioni identiche a quelle svolte dalla ricordata giurisprudenza, i cui principi sono ben adattabili al caso di specie.

E' stato infatti evidenziato in linea generale come dalla nozione di edilizia civile vanno escluse le attività che comunque rientrano nel citato art. 51, per costituire "applicazioni della fisica", in quanto basate sull'utilizzazione dell'energia elettrica [TAR..Lazio, sez. II, 30 luglio 1990 n. 1424], ovvero della termologia, della termodinamica, della meccanica dei corpi e dei fluidi, della fisica delle onde, dell'elettromagnetismo etc., cioè del complesso dei fenomeni suscettibili di analisi sempre piu'sofisticate in relazione allo stato di progressione della ricerca pura ed applicata che costituiscono l'oggetto della fisica teorica sperimentale e tecnica.

D'altra parte non va sottaciuta la circostanza che la legge n. 46 non si riferisce solo agli impianti degli edifici civili, ma anche a quelli elettrici asserviti a tutti i tipi di immobili, per i quali, dunque, la nozione allargata di "edilizia civile" avocata dagli architetti non puo' essere sostenuta ai fini che interessano, atteso che la legge, come si evince anche da tale ultimo dato letterale, ha considerato l'impiantistica come oggetto ormai autonomo e distinto dall'opera muraria nel suo complesso.
L'interpretazione ristretta che deve darsi alla nozione di "edilizia civile" alla luce della recente legge n. 46 del 1990 era peraltro gia'insita nello stesso R.D. del 1925, il cui art. 54 nel prevedere, con disposizione transitoria, un ampliamento della competenza professionale di coloro che avessero anteriormente conseguito il titoli di "architetto civile", previsto dagli ordinamenti universitari dell'epoca, autorizzava gli interessati a svolgere anche le mansioni di cui al precedente art. 51 proprie dell'ingegnere con esclusione, però, delle applicazioni industriali e della fisica, nonché i lavori relativi alle vie, ai mezzi di comunicazione e disuscettibili di trasporto ed alle opere idrauliche, che restavano comunque riservate agli ingegneri, a riprova di una loro specificità professionale, che non poteva in alcun modo confonderli, neppure in via transitoria, con gli architetti.

Ne può soccorrere a sostegno delle tesi degli architetti la norma dell'art. 52 del citato R.D. n. 2537, che affida loro congiuntamente agli ingegneri la parte tecnica degli immobili di interesse storico ed artistico di cui alla legge n. 1089 del 1939 [cfr.TAR Emilia Romagna, sez. II, 24 gennaio 1992 n. 24]. La norma, che affida agli architetti in via esclusiva soltanto la parte relativa al restauro, al ripristino ed in genere all'edilizia di tali manufatti, rappresenta un'eccezione giustificata dalla particolare natura del bene richiedente anzitutto una sensibilità storica, estetica ed urbanistica, prima che tecnica ai professionisti chiamati ad intervenirvi alla esclusività professionale degli ingegneri in materia tecnica, come tale non suscettibile di interpretazione estensiva.
Neppure può aderirsi all'altra prospettazione degli architetti, secondo la quale il loro corso di studi non sarebbe dissimile ormai da quello degli ingegneri.
Se è vero che i contenuti di una professione possono desumersi anche dalle particolari conoscenze tecniche attestate dal titolo di studio [Cass., sez. un., 23.7.1993 n. 8239], proprio l'analisi dei rispettivi corsi di studi di ingegneri ed architetti vale a scalzare le pretese di questi ultimi: basti solo pensare che i primi sostengono ben due distinti esami di fisica (I e II), un esame di fislca tecnica ed uno di chimica generale ed inorganica.

Per quanto riguarda, poi, lo studio delle materie attinenti agli impianti in questione, è stato già ampiamente chiarito che l'insegnamento di fisica tecnica ed impianti, obbligatorio secondo l'ordinamento degli studi della facoltà d'ingegneria, di cui'al DPR n. 995 del 1969, fino al momento della proposizione dei ricorsi risulta essere stato mantenuto, peraltro come meramente opzionale, nell'ambito della scelta di una fra le cinque discipline comprese nell'area impiantistica, soltanto per uno dei quattro indirizzi (quello tecnologico); previsti dal DPR n. 806 del 1982, mentre obbligatorio per tutti gli indirizzi de] corso di laurea in ingegneria, che comprendono altrsi' una serie di materie specifiche per l'attività impiantistica in oggetto (TAR Lazio, sez. II, 30 luglio 1990 n. 1477).
A scalzare la sostanziale diversità delle due professioni sia sotto il profilo ordinamentale che sotto quello accademico non può nemmeno invocarsi, come fanno gli architetti, il D.M. 25 marzo 1985, relativo all'iscrizione dei professionisti negli elenchi del Min. dell'interno ai fini della prevenzione incendi, di cui alla legge n. 818 del 1984. In particolare non basta il richiamo all'art. 1 di tale regolamento, che per il rilascio delle certificazioni di cui alla citata legge si riferisce indifferenziatamente agli albi degli architetti, chimici, ingegneri, geometri, periti industriali; infatti il successivo art. 2 dello stesso decreto che gli interessati hanno omesso di ricordare dispone che l'autorizzazione al rilascio delle certificazioni opera nell'ambito delle rispettive competenze professionali stabilite dalle leggi e dai regolamenti: con il che si torna al R.D. del 1925 ed agli ordinamenti didattici sopra ricordati.

Semmai, c'è piuttosto da ricordare che, ad esempio, la legge 30.12.1991 n. 428, in materia di professionisti abilitati all'omologazione e verifica di apparecchi, macchine, impianti e attrezzature - tra cui sono ricompresi taluni tipi di impianti identici a quelli contemplati dalla legge n. 46 (ascensori e montacarichi, dispositivi di protezione contro le scariche elettriche) - affida tali operazioni esclusivamente ad ingegneri e periti industriali, con esclusione chiara degli architetti (artt. 1 primo comma e 2).

Non può valere a mutare o innovare il quadro normativo sapra delineato il richiamo al d.l.vo 27 gennaio 1992 n. 129, attuativo della direttiva CEE nel campo degli studi di architettura. Anzitutto non risulta se e in che misura il d.l.vo in parola sia stato recepito dai singoli statuti universitari, secondo i principi di autonomia didattica e scientifica sanciti dall'art.6 della legge 9 maggio 1989 n. 168. In secondo luogo, e principalmente, il decreto in parola impone soltanto una "conoscenza adeguata" dei problemi fisici e tecnologici al fini di rendere gli edifici internamente confortevoli e proteggerli dai fattori climatici. La legge, cioè, finalizza le conoscenze tecniche e scientifiche dell'architetto a quella che pur in presenza dell'esplosione tecnologica dell' architettura contemporanea rimane la funzione peculiare della progettazione architettonica anche secondo le varie correnti di pensiero espresse dai grandi maestri italiani, olandesi, tedeschi, americani, giapponesi, etc.: che è pur sempre e prevalentemente quella di organizzare lo spazio ambiente secondo concezioni e nozioni prevalentemente estetico-umanistiche e psico-socio-ambientali, rispetto alle quali le ulteriori specifiche competenze tecniche richeste agli architetti per la soluzione dei molteplici problemi connessi ai fenomeio dell'edificazione e dell'urbanizzazione rimangono marginali in confronto con il corso di laurea in ingegneria, o addirittura estranee, pur nella loro complessiva connessione funzionale, che però attiene al campo dell'interdisciplinarietà degli interventi (basti pensare alle conoscenze attinenti la geologia).

Una riprova di ciò può cogliersi nel recente corso di studi di architettura del politecnico di Milano per l'anno 1994-1995, versato in atti nel ricorso 4039/1992, e peraltro relativo ad epoca successiva rispetto all'adozione dell'atto impugnato; ivi risulta un solo insegnamento fondamentale propedeutico di "fisica tecnica ed impianti", contro i ben tre insegnamenti di fisica generale e tecnica del corso di laurea in ingegneria come sopra ricordato.

Anche il richiamo alla legge sulle tariffe professionali del 1949 è improprio, atteso che essa, come meglio si vedrà in seguito, non è idonea a modificare le competenze fissate dalla legge professionale innanzi considerata.
Alla luce delle esposte considerazioni deve pertanto ritenersi perfettamente legittima la scelta, operata con il decreto del febbraio 1993, di tornare alla limitazione ai soli ingegneri e periti industriali già disposta conl'originario decreto, con la conseguente abrogazione del decreto dell'agosto, che in virtù di un improprio, inconferente ed erroneo parere del CUN, aveva inserito anche architetti e fisici, questi ultimi neppure dotati dl un proprio albo professionale come inequivocabilmente richiesto dalla legge n. 46.
A scalzare la legittimità del provvedimento impugnato con il terzo gruppo di ricorsi non può neppure valere il motivo, di ordine meramente procedurale che non scalza la realtà delle rispettive competenze professionali, relativo alla motivazione sull'interesse pubblico concreto ed attuale all'annullamento del decreto dell'agosto.

Il consolidato principio per cui l'annullamento d'ufficio presuppone che l'amministrazione indichi le ragioni di pubblico interesse che giustifichino il ricorso all'autotutela [Cons. St., sez. V, 22.9.1993; Cons. Reg..sic., 24.'9.1993 n.308] trova applicazione nei soli casi in cui, per effetto del provvedimento assunto illegittimo siano sorte posizioni giuridiche consolidate nel tempo bastando in caso contrario, la sola esistenza di vizi di illegittimità dell'atto invalidato (Cons. St., sez. V, 30 lugliol993 n. 803; sez. VI, 21.1.1993 n. 70). Nella specie quel principio non può pertanto invocarsi, essendo trascorsi soltanto pochi mesi fra il provvedimento caducatorio e quello caducato.



6 - Del pari fuor di luogo è l'altro vizio procedimentale relativo alla violazione dell'art. 9 secondo comma del regolamento n. 447, che impone al Ministero, prima di adottare gli schemi uniformi di elenchi, di sentire gli ordini e collegi professionali. Tale censura è inammissibile ed infondata. Inammissibile per difetto di interesse, perche' anche se il Ministero avesse sentito tutte le categorie astrattamente interessate al provvedimento, i risultati non avrebbero potuto essere diversi da quelli cui è correttamente pervenuto il Ministero stesso, in applicazione doverosa e non discrezionale di tassative disposizioni legislative non suscettibili di essere scalzate da un 'attività partecipative di terzi. Infondata perché in mancanza di un'elencazione tassativa della legge dei soggetti da consultare,.non poteva darsi carico all'amministrazione di far partecipare al procedimento tutte le categorie potenzialmente inseribili nell'elenco, da un lato non facilmente identificabili e dall'altro individuabili solo attraverso un processo di autolegittimazione che l'amministrazione, ripetesi in applicazione rigorosa delle norme professionali, ha ritenuto irrilevante.



7 - Ancora è da respingere il profilo di eccesso di potere per contraddittorietà con la circolare del 5.3.1993, con la quale lo stesso Ministero ha ritenuto gli architetti idonei all'accertamento dei requisiti tecnico professionali delle imprese installatrici. Essendo diverse la materia e la funzione del decreto e della circolare, quest'ultima attinente non già alla competenza operativa ma alla sola competenza professionale ad effettuare un mero riscontro formale tra requisiti concretamente posseduti dai soggeti aspiranti e quelli tassativamente richiesti dagli artt. 3, 4 e 5 della legge e dall'art. 2 del regolamento, nessuna contraddittorietà puo rinvenirsi tra i due provvedimenti.



8 - Ugualmente infondate sono le pretese dei geometri ad essere inseriti nell'elenco di cui è causa, soccorrendo al riguardo considerazioni fondate su ordini argomentativi già svolte a proposito degli architetti, alle quali debbono aggiungersi osservazioni scaturenti dal ricorso alla legge sulle tariffe professionali n. 144 del 1949.
Proprio con specifico riguardo ai geometri la giurisprudenza ha chiarito che il richiamo della legge n. 144 citata - relativa , come detto alle tariffe professionali dei geometri - al regolamento n. 274 del 1929 che fissa l'oggetto e i limiti dell'esercizio della relativa professione, postula una recezione integrale della normativa regolamentare e della delimitazione delle competenze professionali che da essa risultano. Con la conseguenza che le prestazioni professionali cui è abilitato il geometra non possono esorbitare dalle operazioni ordinarie indicate dagli artt. 16 e 24 del regolamento del 1929 [Cons. St., sez V, 3 gennaio 1992 n. 3]. Ai fini della competenza professionale assumono dunque unicamente rilievo le predette disposizioni, per le quali ai geometri competono, tra l'altro, la progettazione, direzione e sorveglianza di modeste costruzioni civili o di costruzioni rurali (o assimilate) di limitata importanza che non richiedono particolari operazioni di calcolo e per la loro destinazione non possono comunque implicare pericolo per l'incolumità delle persone (art..16 lettere l m).

La legge professionale del 1929, tutt'ora in vigore, evidenzia dunque una serie di limiti alla competenza del geometra per certi versi ancora più forti rispetto agli architetti, fissando un coerente criterio di delimitazione del campo operativo del geometra costituito dalla modestia o tenuità dell'opera (Cons. St. sez. V, n. 3/1992, cit.) criterio che - anche alla lettura comparativa delle altre norme professionali sopra considerate che fissano le aree di intervento riservate ad ingegneri (e periti industriali), le cui competenze tecniche non sono da nessuno contestate - è di natura non solo quantitativa ma anche tecnico-qualitativa, in quanto fondato sulla valutazione della struttura dell'edificio e delle relative modalità costruttive, e che comunque (a prescindere cioè dall' aspetto quantitativo dell' opera, che seppur piccola, può comportare l'impiego di tecnologie sofisticate) non debbono comportare la soluzione di problemi articolari dovuti esclusivamtente a professionisti di rango superiore, come quelli, appunto, derivanti dall'applicazione della fisica [cfr. C. Cost., 27 aprile 1993 n. 199].
Neppure può accedersi all'ulteriore censura mossa dai geometri, per cui le competenze professionali in quanto incidenti sul diritto costituzionale al lavoro, non possono essere definite o delimitate con semplice provvedimento amministrativo, ma con atto di rango legislativo. L'affermazione è del tutto esatta in astratto, ma non alla luce della concreta considerazione per cui, nella specie, il D.M. impugnato non è innovativo, ma solo applicativo dei criteri fissati dalla speciale normativa professionale.



9 - Meritano, al contrario, accoglimento le censure di violazione delle norme sulla professione di chimico (R.D.n. 842 del 1928) e di illogicità manifesta mosse dai chimici al D.M. del 22.4.1992 nella parte in cui (All. B, sezione sesta) inserisce nell'elenco dei professionisti abilitati alle verifiche i periti industriali con specializzazione in chimica industriale tenendo fuori i laureati in chimica dotati della medesima specializzazione e iscritti al relativo Albo professionale (L. n. 897/1938). Non v'è bisogno di spendere molte parole né di precisi riferimenti ai rispettivi ordinamenti professsionali ed accademici, per cogliere l'assoluta irrazionalità di una scelta che privilegia una categoria professionale a scapito di altra che certamente possiede nel campo della chimica pura ed applicata un bagaglio tecnico-culturale ed una conseguente capacità di risoluzione delle relative problematiche ben più cospicuo e qualificato rispetto alla prima (cfr.art.16 R.D. n: 842/1928 cit.).



10 - Un discorso a parte merita il ricorso n. 4177 proposto dall'Ordine degli ingegneri della Provincia di Roma contro il "provvedimento" del Rettore dell'Università La Sapienza di Roma del 31 luglio 1992, avente un oggetto solo in parte coincidente con quello dei D.M. sopra ricordati.
Infatti tale provvedimento, qualificato in ricorso come "decisione", costituisce una risposta esplicativa a quanto segnalato dalla nota dello stesso Ordine del 29.1.1992 in merito a presunte situazioni di irreqolarità nell'affidamento di incarichi professionali.

Tale risposta è senz'altro di contenuto ambiguo perché mentre da un lato si dà un'interpretazoine estensiva al R.D. n. 2537/1925 (con richiami del tutto impropri ed errati a numerose pronunce di TAR e del Cons. di Stato che avrebbero affermato l'equipollenza dei due diplomi di laurea in architettura ed ingegneria), come sopra contestata dal Collegio con le argomentazioni cui si rimanda per altro verso si precisa che sono gli Ingegneri capo dei cinque uffici tecnici dell'Ateneo a designare i vari direttori dei lavori e a controllarne l'operato. Viene altresi precisato che "in futuro saranno prese tutte le misure necessarie a garantire il rispetto delle sfere di competenza di ciascun ordine professionale. Ora se è pur vero che la risposta in questione contiene palesi errori interpretativi e di presupposto in materia di riparto di competenze, non appare meno vero che tali errori sono contenuti in una mera partecipazione di un' opinione rivolta esclusivamente a un soggetto privato (si deve ritenere) priva perciò di ogni contenuto volitivo e determinativo come invece sarebbe stato se essa fosse stata formalizzata in un ordine di servizio o in una circolare emanata nei confronti degli organismi tecnici, ai quali, invece, viene rimessa ogni decisione finale sulla scelta dei professionisti competenti, da effettuare nel rispetto dei principi dell'ordinamento, come sopra esplicitati. L'atto rettorale non è perciò idoneo a produrre nessuna lesione concreta e diretta dell'interesse della categoria, il cui ricorso non appare assistito dal prescritto interesse.

Alla luce delle esposte considerazioni debbono trarsi le sequenti conclusioni:


A - i ricorsi proposti contro il D.M. del 17.2il993 sono infondati e per l'effetto va dichiarata la sua legittimità ed operatività;

B - i ricorsi proposti contro il D.M. del 24.8.1992, che è stato abrogato dal suddetto provvedimento e quindi non è più vigente, sono improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse

C - i ricorsi proposti contro il D.M: del 22.4.1992 sono tutti infondati, ad eccezione di quello proposto dal Consiglio Naz. chimici, nella parte in cui li esclude dalle stesse competenze riconosciute ai periti industriali con specializzazione in chimica industriale.

D - il ricorso proposto dall'Ordine degli ingegneri di Roma è inammissibile per carenza di interesse.
Le spese dei giudizi possono complessivamente compensarsi.


P Q M


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez.III ter, decide come in motivazione sui ricorsi riuniti in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza venga eseguita dalla.. P.A.. Così deciso a Roma, nella camera di consiglio del 19.1.1995
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