Testo
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MASSIMA
I cittadini extracomunitari muniti dei prescritti titoli di studio e di abilitazione hanno diritto di essere iscritti negli albi professionali, anche nel caso in cui non fossero già presenti in Italia alla data del 31 dicembre 1989.
INTERO TESTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il dr. ABDULLAHI AHMED MOHAMED, cittadino somalo, conseguiva la laurea in medicina e chirurgia presso l'Università degli Studi di Firenze il 31/10/94 e presso lo stesso Ateneo, nel medesimo anno, anche l'abilitazione all'esercizio della professione medica. Iscritto all'Albo professionale dei Medici della provincia di Firenze in data 4/7/95, riceveva il 15/11/95 la comunicazione della delibera n. 88 del 7/11/95 con la quale il Consiglio Direttivo dell'Ordine disponeva la cancellazione dall'Albo "per mancanza dei requisiti'', in quanto il Trattato di amicizia tra Italia e Somalia non soddisfaceva la condizione di reciprocità richiesta dall'art. 9 d.lgs. C.P.S. 13 settembre 1946 n. 233.
Il ricorso proposto dal professionista era rigettato dalla Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, con decisione n. 315 del 4/10/96, ritenendo, conformemente al parere del Consiglio di Stato n. 856/95, che la disciplina prevista dall'art. 10, 7ø co., d.l. 30/12/89 n. 416, convertito con modificazioni in L. 28/2/1990 n. 39. avesse natura transitoria, come tale riferibile solo ai cittadini extracomunitari già presenti sul territorio dello Stato italiano alla data di entrata in vigore di tale decreto legge.
Ha proposto ricorso per cassazione, ex art. 68 d.P.R. 221 del 1950. ABDULLAHI AHMED MOHAMED, affidandolo a due motivi di censura. Le altre parti intimate non si sono costituite. Il ricorrente ha depositato memoria ed istanza di rinvio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente esaminata l'istanza di rinvio giustificata con il fatto che la materia in esame è attualmente oggetto del disegno di legge n. 3240, presentato dal Governo il 17/2/97 alla Camera dei Deputati e riguardante la "Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero", il cui art. 34 prevede una sanatoria nonché una disciplina specifica per le professioni sanitarie; tale disegno di legge, attualmente all'esame della I Commissione Affari Costituzionali, dovrebbe essere portato in aula per l'approvazione nel prossimo autunno ed, ove approvato, risolverebbe positivamente le pretese dell'attuale ricorrente.
L'istanza va rigettata, dal momento che un mero disegno di legge, del quale non può, con apprezzabile sicurezza, data anche la delicatezza della materia e le correlate divergenze fra le forze politiche, prevedersi se ed in quali termini potrà eventualmente venire approvato, non è sufficiente a giustificare, di per sé, un differimento dell'udienza di discussione.
Con il primo motivo il ricorrente, denunciando la violazione e la falsa applicazione dell'art. 10, 7 co., d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, conv. con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990 n. 39, nonché l'omessa motivazione sul punto decisivo della controversia, contesta l'interpretazione che la Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie ha dato di tale disposizione come norma transitoria (e, quindi, applicabile solo ai cittadini extracomunitari già presenti in Italia alla data dell'l/12/89), invece che come norma a regime. In via subordinata, ove non fosse accolta l'interpretazione proposta, il ricorrente solleva la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, 7ø co. cit. per contrasto con gli artt. 2. 3, 10 e 33 Cost.
Deve in primo luogo dichiararsi l'ammissibilità del presente ricorso, dal momento che le decisioni della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie sono impugnabili per cassazione non solo per motivi di giurisdizione ex art. 362. 1ø co., c p.c., come originariamente previsto dall'art. 19 d.lgs. C.P.S. n. 233 del 1946, ma anche ai sensi dell'art. 111. 2ø co. Cost., con ricorso che, essendo ammesso soltanto per violazione di legge, non può estendersi alla deduzione di vizi di motivazione (Cass., sez. un., 15 giugno 1994 n. 5789): o, meglio, con riguardo alla motivazione, solo per denunciarne la radicale mancanza e/o la mera apparenza, ambedue prospettabili come violazione del disposto del primo comma dell'art. 111 Cost. - secondo cui tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati - oppure come error in procedendo ex art. 360 n. 4 c.p.c. e non come vizio di motivazione sub art. 360 n. 5 c.p.c., deducibile in via di ricorso ordinario (ex plurimis. Cass., sez. un. 16 maggio 1992 n. 5888).
Orbene, chiarito quanto innanzi, l'esposta censura, che attiene principalmente ad una violazione di legge, oltre che ammissibile, deve ritenersi fondata. Va al riguardo rilevato che l'art. 10 d.l. n. 416 del 1989, rubricato come "Regolarizzazione del lavoro autonomo svolto dai cittadini extracomunitari presenti nel territorio dello Stato", conteneva solo quattro commi le cui disposizioni, di indiscussa natura transitoria, miravano appunto alla regolarizzazione della situazione degli extracomunitari che esercitavano attività economiche; in particolare, non conteneva alcuna disposizione relativa all'esercizio delle libere professioni. Con la legge di conversione n. 39 del 1990 l'art. 10 è risultato composto di 7 commi e la rubrica anch'essa modificata con l'aggiunta, al testo precedente, dell'espressione "Norme sulle libere professioni", esplicitate appunto nel settimo comma che così recita: "Salvo quanto previsto al comma quinto, i cittadini extracomunitari, in possesso di laurea o diploma, conseguiti in Italia, oppure che abbiano il riconoscimento legale di analogo titolo, conseguito all'estero, possono sostenere gli esami di abilitazione professionale e chiedere l'iscrizione agli albi professionali, in deroga alle disposizioni che prevedono il possesso della cittadinanza italiana per l'esercizio delle relative professioni".
Ora già ad una mera lettura dell'intero articolo 10 è arduo condividere il parere del Consiglio di Stato (Sez. I n. 856/95), sul quale si è fondata l`impugnata decisione, circa la natura transitoria anche della disposizione di cui al 7ø comma. Invero, se non è dubbia la finalità, perseguita dai primi sei commi, di regolarizzare in via transitoria la presenza in Italia di cittadini extracomunitari, ai quali sono posti dei termini perentori per sanare la loro posizione di lavoratori autonomi, il 7ø comma ha una diversa connotazione, ricollegata da un lato alla specif`icazione di cui alla rubrica (Norme sulle libere professioni), dall'altro alla mancanza di qualsiasi termine di decadenza, ed appare volto esclusivamente a rimuovere la peculiarità della disciplina delle libere professioni, sancendo il superamento del principio di cittadinanza e di reciprocità per l'iscrizione negli albi professionali. Un ulteriore elemento si rinviene nell'esordio del suddetto comma, ove si fa "salvo quanto previsto al comma quinto", il quale pone il termine di un anno per la regolarizzazione degli extracomunitari che "svolgono attività economiche in violazione delle norme concernenti ...l'iscrizione in ... albi"; ne consegue che il 7ø comma sembra porre una norma di carattere g*enerale, senza limitazione di tempo o, come suol dirsi, "a regime".
Questa interpretazione, oltre ad apparire più conforme allo spirito dei tempi volto all'accettazione di una società plurietnica, sembra anche implicita nell'ordinanza 4 aprile 1990 n. 213 con la quale la Corte Costituzionale, investita del giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 9 d.lgs. C.P.S. 13 settembre 1946 n. 233, ha ordinato la restituzione degli atti al giudice remittente, "considerato che, nelle more del giudizio avanti la Corte costituzionale, l'art. 10, settimo comma, della legge 28 febbraio 1990. n. 39, ha introdotto la possibilità, per i cittadini extracomunitari in possesso di laurea o di diploma conseguiti in Italia, di chiedere l'iscrizione agli albi professionali in deroga alle disposizioni che prevedono il possesso della cittadinanza italiana per l'esercizio delle relative professioni"; nonché esplicita nella sentenza 11 aprile 1991 n. 3820 di questa Corte, secondo la quale l'art. 10 del d.l. 30 dicembre 1989 n. 416 - convertito con modificazioni nella legge 28 febbraio 1990, n. 39 - che. disciplinando ex novo la materia dell'iscrizione di medici stranieri in albi professionali italiani, già oggetto dell'art. 9 del d.l. C.P.S. 13 settembre 1946 n. 233 ha consentito l'iscrizione stessa ai cittadini extracomunitari in possesso di laurea o diploma conseguito in Italia o ivi legalmente riconosciuto e che abbiano superato in Italia gli esami di abilitazione indipendentemente da specifici trattati internazionali e dal trattamento di reciprocità nello Stato di appartenenza - è immediatamente applicabile ai giudizi in corso. Infatti, ove la disposizione de qua fosse stata ritenuta norma transitoria, il giudice di legittimità non avrebbe parlato di disciplina ex novo ed il giudice delle leggi non avrebbe disposto la restituzione degli atti per una nuova valutazione sotto il profilo della rilevanza; né l'uno, né l'altro, comunque, hanno fatto riferimento ad un'eventuale transitorietà.
Tirando i fili del discorso e concludendolo, deve affermarsi che l'art. 10. 7ø co., L. n. 39 del 1990 contiene una disposizione, di carattere innovativo e generale, riguardante tutti i cittadini extracomunitari laureati, diplomati od abilitati, ai fini della possibilità di iscrizioni agli albi professionali, in deroga alle disposizioni che prevedono il possesso della cittadinanza italiana per l'esercizio delle relative professioni, senza prevedere ulteriori limitazioni temporali di presenza nel territorio dello Stato italiano. Pertanto l'impugnata sentenza, che ha confermato la cancellazione del ricorrente dall'albo professionale per essere entrato in Italia successivamente al 31 dicembre 1989 (data di entrata in vigore del d.l. n. 416 del 1989), si pone in contrasto con il principio giuridico sopraffermato ed il primo motivo del ricorso va accolto.
Resta assorbito il secondo mezzo che attiene all'art. 9, 2ø co., d.lgs. C.P.S. n. 233 del 1946.
Ciò premesso, l'impugnata decisione va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio degli atti alla Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie per un nuovo esame.
La delicatezza della questione integra i giusti motivi per compensare le spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo e dichiara assorbito il secondo; cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia gli atti alla Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, compensando totalmente le spese del giudizio di cassazione.
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