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La nuova disciplina contenuta all’articolo 9 del Ddl presentato dal Ministro del Lavoro il 4 aprile, così come già evidenziato in sede di presentazione della prima bozza del testo (che sarà a breve in discussione al Parlamento), mira a razionalizzare il ricorso a collaborazioni professionali con titolarità di partita IVA per “evitarne utilizzi impropri in sostituzione di contratti di lavoro subordinato”.
Il testo presentato dal Ministro Fornero con l’art.9 introduce al Capo I, Titolo VII, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, un nuovo articolo: il 69-bis.
In base al nuovo articolo le prestazioni lavorative rese da persona titolare di posizione fiscale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto sono considerate, salvo che sia fornita prova contraria da parte del committente, rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, qualora ricorrano almeno due dei seguenti presupposti:
- che la collaborazione abbia una durata complessivamente superiore ad almeno sei mesi nell’arco dell’anno solare;
- che il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro d’imputazione di interessi, costituisca più del settantacinque per cento dei corrispettivi complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco dello stesso anno solare;
- che il collaboratore disponga di una postazione di lavoro presso una delle sedi del committente.
E’ evidente come il Governo, al fine di individuare la dimensione della dipendenza o dell'indipendenza degli occupati, ha correttamente voluto sancire il fatto che non basta far riferimento al tipo di contratto di lavoro anche di natura autonoma che lega un occupato ad una organizzazione o ad altre persone, ma serve rilevare anche il tipo di “rischio economico” sopportato dall’occupato e verificare il grado di autonomia del lavoratore all’interno dell’unità organizzativa in cui è collocato.
La norma associa la presunzione di para-subordinazione ad una successiva attrazione, in assenza dei requisiti per la collaborazione a progetto (individuati dall’ art. 61, comma 1 del D.Lgs. n. 276 del 2003 appunto nell’esistenza di un progetto specifico gestito autonomamente dal collaboratore), del rapporto di lavoro nell’alveo del lavoro dipendente sulla base della conseguente applicazione della relativa sanzione di cui all’art.69 comma 1 del Dlgs 276/03. La norma sanzionatoria stabilisce, infatti, che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l'individuazione di uno specifico progetto, ai sensi dell'articolo 61, comma 1, “sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto”.
A fronte di questa disciplina stringente, il nuovo disegno di legge si è preoccupato, anche sulla base di sollecitazioni che anche il Consiglio nazionale ha espresso in fase di discussione del Ddl, di inserire una esplicita limitazione del campo di applicazione della norma per professionisti appartenenti ad albi, ma solo per quanto riguarda tutti i rapporti di lavoro riguardanti attività riconducibili alle attività professionali.
Il comma 4 del nuovo articolo 69 bis recita infatti che: “La disposizione di cui alla prima parte del primo periodo del comma 3 dell’articolo 61 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si interpreta nel senso che l’esclusione dal campo di applicazione del Capo I del Titolo VII del medesimo decreto riguarda le sole collaborazioni coordinate e continuative il cui contenuto concreto sia riconducibile alle attività professionali intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali. In caso contrario, l’iscrizione del collaboratore ad albi professionali non è circostanza idonea di per sé a determinare l’esclusione dal campo di applicazione del presente Capo”.
L’esplicita esclusione dei professionisti che esercitano attività professionali evita dunque la possibilità (paventata anche da codesto Consiglio in occasione della presentazione della prima bozza del Ddl in cui non erano esplicitate le suddette esclusioni) di interpretazioni aberranti, degli organi ispettivi della regolarità del lavoro, fiscale e contributiva i quali (aprendo, peraltro, a scenari di innumerevoli contenziosi tra professionisti e amministrazione) avrebbero avuto, almeno sulla carta, la possibilità di riqualificare autonomamente i rapporti di collaborazione tra professionisti o tra professionisti e singoli committenti privati o pubblici e applicare le discipline del lavoro dipendente, con effetti dirompenti soprattutto sul piano fiscale e contributivo, oltre che su quello civilistico delle parti, e concretamente sulle carriere professionali di chi (soprattutto i professionisti più giovani) stava magari iniziando un faticoso processo di inserimento nel mercato professionale.
Con il comma 4 del nuovo art. 69 bis del 276/2003, introdotto dall’articolo 9 del Ddl di riforma del mercato del lavoro, un rapporto di collaborazione professionale tra professionisti che ha per oggetto una attività per l’esercizio delle quale è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali non potrà mai ricadere nella presunzione di para-subordinazione e quindi essere sanzionata con la trasformazione in rapporto di lavoro dipendente.
Resta, invece, esposta a tale sanzione l’attività di un professionista iscritto ad un albo che svolge in regime di partita Iva (con le caratteristiche di dipendenza economica esplicitate dalla legge) compiti che non rientrano nell’ambito della propria “attività professionale intellettuale”.
Questo Consiglio attivera' da subito specifici contatti con il Ministero competente, al fine di eliminare ogni dubbio connesso alla osservazione che per il collaboratore ingegnere, in regime di partita IVA, che non firma i progetti cui, da ingegnere, collabora, non sia strettamente necessaria la iscrizione all'Albo.
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