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Rif. DV11429
Documento 22/04/2014 CIRCOLARE - XVIII SESSIONE
Fonte CNI
Tipo Documento CIRCOLARE
Numero 362
Data 22/04/2014
Riferimento PROT. CNI N. 2464
Note
Allegati

DV11433

LG11431

SZ11430

SZ11432

Titolo COMPETENZE PROFESSIONALI ARCHITETTI E INGEGNERI CIVILI SUGLI EDIFICI VINCOLATI - SENTENZA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA 21 FEBBRAIO 2013 – RECIPROCO RICONOSCIMENTO DEI TITOLI DEL SETTORE ARCHITETTURA – ACCESSO ALLE ATTIVITÀ PREVISTE DALL’ART.52, SECONDO COMMA, RD N.2537/1925 - NON PUÒ ESSERE NEGATO ALLE PERSONE IN POSSESSO DI UN DIPLOMA DI INGEGNERE CIVILE AI SENSI DELLA DIRETTIVA – SENTENZA CONSIGLIO DI STATO 9 GENNAIO 2014 N.21 – NEGATIVA PER GLI INGEGNERI – RELAZIONE DELL’AVVOCATO DEL CNI – CONSIDERAZIONI SULLE POSSIBILI INIZIATIVE DA INTRAPRENDERE
Testo Con la presente si trasmettono in allegato i più recenti pronunciamenti – al massimo livello – sulla dibattuta questione delle competenze professionali in materia di interventi su beni di rilevante carattere storico e artistico (edifici vincolati), unitamente alla relazione del Prof. Avv. Bruno Nascimbene, il legale che ha seguito per conto del Consiglio Nazionale tutto l’iter giudiziario della controversia che ha visto contrapposte le rappresentanze degli Ingegneri e il Ministero dei Beni Culturali e gli Architetti.

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Come noto, è da anni che singoli professionisti Ingegneri, assistiti dai rispettivi Ordini territoriali e con l’intervento ad adiuvandum in giudizio del CNI, rivendicano la possibilità di intervenire sugli edifici vincolati, sulla base della direttiva 85/384/CE, qualora in possesso di una formazione analoga a quella di architetto ai sensi della direttiva, pena altrimenti la violazione del principio di discriminazione alla rovescia (ai sensi della direttiva, a professionisti stranieri in possesso di una formazione analoga a quella di architetto sarebbe infatti consentito di operare in Italia sugli edifici vincolati, attività invece vietata agli Ingegneri civili italiani).

Ci sono state quindi nel tempo varie pronunce del giudice amministrativo di primo e di secondo grado, con esiti altalenanti (il più delle volte negativi per gli Ingegneri).

Non sono stati risolutivi, invece, i rinvii della problematica rispettivamente alla Corte di Giustizia UE (pronunciatasi con ordinanza 5 aprile 2004) e alla Corte Costituzionale (ordinanza 19 aprile 2007 n.130). In entrambi i casi, con motivazioni diverse, il giudice adito non si è pronunciato nel merito.

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Nel 2013 si è finalmente giunti all’importante sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Quinta Sezione) 21 febbraio 2013, emessa nella causa C-111/12, a seguito della richiesta di pronuncia in via pregiudiziale, promossa dal Consiglio di Stato in una controversia che ha visto contrapposte le rappresentanze degli Ingegneri e quelle degli Architetti, unitamente al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, a proposito dell’annosa questione delle competenze sugli immobili di interesse storico e artistico.

La sentenza (al contrario di quanto erroneamente affermato da alcuni organi di stampa on-line), anche se non risolutiva, segna senza dubbio un punto a favore agli Ingegneri ricorrenti, dato che la fattispecie verteva sulla “..eventuale abilitazione degli INGEGNERI CIVILI ad espletare l’incarico di direzione lavori su immobili di interesse storico ed artistico” e la Corte di Giustizia ha stabilito che - “contrariamente alla tesi difesa dal Consiglio Nazionale Architetti” (punto 43 della sentenza) – essi (al ricorrere di date condizioni) sono legittimati ad “accedere” alle attività riguardanti immobili di interesse artistico, oggetto di discussione.

La Corte di Giustizia, nella sentenza del 21 febbraio 2013, ha infatti affermato in via pregiudiziale che nessuna restrizione all’esercizio di attività nel settore dell’architettura (incluse quelle inerenti gli immobili di interesse storico e artistico) è ammissibile nei confronti di coloro i quali siano in possesso di uno dei titoli riconosciuti dalla direttiva 85/384 (in via transitoria).

Essa, quindi, è favorevole a tutti gli Ingegneri civili che si avvalgono e rispettano le condizioni fissate dalla direttiva 85/384/CE (la cd “direttiva Architettura”).

Bisogna però avvertire che il punto centrale del quesito interpretativo rimesso dal Consiglio di Stato all’esame del giudice comunitario era altro e che quindi i passaggi di interesse per gli Ingegneri non formano oggetto principale della pronuncia.

Inoltre la Corte di Giustizia si esprime in un linguaggio molto tecnico, per addetti ai lavori, che ha determinato delle letture non univoche dei punti di diritto ivi affermati.

Fermo restando quanto sopra, va sottolineato che in questa sentenza, per la prima volta e al massimo livello della giurisdizione comunitaria, viene fissato il principio che – a certe condizioni - gli Ingegneri civili che rispettano le condizioni fissate dalla direttiva Architettura e dalla sua disciplina transitoria possono intervenire sugli edifici vincolati, alla stessa stregua degli Architetti.

Questo dato deve essere considerato un punto fermo, a livello di affermazione di principio, che non può essere scalfito da contestazioni di sorta, e al di là delle conseguenze pratiche che dal medesimo possano derivare in sede nazionale.

Precisamente, la Corte di Giustizia così si esprime:

“L’accesso alle attività previste all’articolo 52, secondo comma, del regio decreto n.2537/1925, vale a dire alle attività riguardanti immobili di interesse artistico, non può essere negato alle persone in possesso di un diploma di INGEGNERE CIVILE o di un titolo analogo rilasciato in uno Stato membro diverso dalla Repubblica italiana, qualora tale titolo sia menzionato nell’elenco redatto ai sensi dell’articolo 7 della direttiva 85/384 o in quello di cui all’articolo 11 di detta direttiva”. (punto 51 della sentenza)

Il principio finale enunciato dalla sentenza invece concerne il divieto di sottoporre, da parte dello Stato ospitante, coloro i quali hanno un titolo abilitante all’esercizio di attività nel settore dell’architettura, menzionato dalla direttiva 85/384, a particolari verifiche ed esami, prima di consentire loro di intervenire nella progettazione di immobili di interesse artistico (in allegato).

In tal modo, viene a essere smentita la tesi degli Architetti, secondo cui i laureati in Ingegneria civile di altri Stati membri – per poter operare nel nostro Paese senza vincoli sugli immobili di interesse artistico – avrebbero dovuto sottoporsi ad una verifica in merito alle qualifiche possedute nel settore dell’architettura (si tratta, come si vede, di un aspetto in parte diverso, rispetto alla questione per noi principale : qui, infatti, la Corte intende dire che non è possibile sottoporre ad una verifica in merito alle qualifiche possedute nel settore dell’architettura coloro che hanno i titoli necessari, pena il venir meno del principio del riconoscimento automatico dei diplomi, alla base della direttiva Architettura).

Dopo questa sentenza della Corte di Giustizia UE era lecito attendersi una decisione del Consiglio di Stato – di fronte a cui doveva tornare la questione, dopo la pronuncia in via pregiudiziale della Corte di Giustizia – sostanzialmente favorevole per le rivendicazioni dei professionisti Ingegneri ricorrenti.

Così, invece, non è stato.

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Il sistema prevede che la Corte di Giustizia europea fissa il principio di diritto, e poi il giudice nazionale (in questo caso il Consiglio di Stato) è chiamato a farne applicazione.

La sentenza 9 gennaio 2014 n.21, della VI Sezione del Consiglio di Stato, riuniti diversi ricorsi, ha da un lato accolto il ricorso in appello proposto dal Ministero per i Beni e le Attività culturali (ribaltando la sentenza Tar Veneto n.3630/2007, favorevole agli Ingegneri) e, dall’altro, ha rigettato il ricorso in appello (contro la sentenza Tar Veneto n.3651/2008) proposto dagli Ordini degli Ingegneri delle Province di Venezia, Padova, Treviso, Vicenza, Verona, Rovigo e Belluno.

In sostanza, il giudice amministrativo di secondo grado non ha accolto le tesi sostenute dalle rappresentanze degli Ingegneri, che pure facevano leva sul pronunciamento della Corte di Giustizia 21 febbraio 2013.

Dopo aver ricordato che i ricorsi sottoposti al suo esame concernevano “controversie insorte in ordine alla legittimità di determinazioni amministrative consistite nell’escludere professionisti italiani appartenenti alla categoria degli Ingegneri dal conferimento in Italia di incarichi afferenti la direzione di lavori da eseguirsi su immobili di interesse storico artistico”, il Consiglio di Stato compie un lungo excursus della vicenda giudiziaria, evidenziando che gli Ingegneri lamentavano l’illegittimità dei provvedimenti di esclusione per contrasto con la direttiva del Consiglio CE 10 giugno 1985 n.384.

Era dibattuta, quindi, la questione della compatibilità comunitaria della normativa italiana che riserva ai soli Architetti le prestazioni principali sugli immobili di interesse culturale (art.52, secondo comma, RD 22 ottobre 1925 n.2537).

Ma il Consiglio di Stato ha ritenuto che la previsione di cui all’articolo 52 cit. non determina una “discriminazione alla rovescia” in danno dell’Ingegnere italiano nei confronti dell’Ingegnere di un qualunque altro Paese dell’Unione Europea.

Secondo il Consiglio di Stato:

“- non è esatto affermare che l’ordinamento comunitario riconosca a tutti gli Ingegneri di Paesi UE diversi dall’Italia (con esclusione dei soli Ingegneri italiani) l’indiscriminato esercizio delle attività tipiche della professione di Architetto;

- al contrario, in base alla pertinente normativa UE, l’esercizio di tali attività – in regìme di mutuo riconoscimento - sarà consentito ai soli professionisti i quali (al di là del nomen iuris del titolo professionale posseduto) possano vantare un percorso formativo adeguatamente finalizzato all’esercizio delle attività tipiche della professione di architetto. …….;

- quindi, anche ad ammettere che un professionista non italiano con il titolo professionale di Ingegnere sia legittimato sulla base della normativa del Paese di origine o di provenienza a svolgere attività rientranti fra quelle esercitate abitualmente col titolo professionale di Architetto, ciò non è sufficiente a determinare ex se una discriminazione ‘alla rovescia’ in danno dell’Ingegnere civile italiano. Ed infatti, sulla base della direttiva 85/384/CEE, l’esercizio di tali attività sarà possibile (non sulla base del mero possesso del titolo di Ingegnere nel Paese di origine o di provenienza, bensì) in quanto tale professionista non italiano avrà seguito un percorso formativo adeguato ai fini dell’esercizio delle attività abitualmente esercitate con il titolo professionale di Architetto;

- allo stesso modo, la sussistenza dei richiamati profili di discriminazione alla rovescia è da escludere alla luce dell’articolo 11, lettera g) della direttiva 85/384/CEE, cit.”.

Il giudice amministrativo prosegue affermando che “anche a voler ammettere… che la disciplina transitoria e derogatoria di cui ai richiamati articoli 10 e 11 consenta in talune ipotesi a un limitato numero di ingegneri di alcuni Paesi dell’UE di svolgere in regime di mutuo riconoscimento (e quindi anche in Italia) talune attività nel settore dell’architettura sui beni di interesse storico e culturale (attività tipicamente sottratte agli ingegneri italiani)”, anche in questo caso, “non si individuerebbero ragioni sufficienti per ritenere la sussistenza di un’ipotesi di ‘reverse discrimination’ in danno degli Ingegneri italiani, sì da indurre alla generalizzata disapplicazione della previsione di cui all’articolo 52 del R.D. 2537 del 1925.”

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Si può quindi affermare, senza tema di smentite, che il Consiglio di Stato ha operato una lettura delle conclusioni della Corte di Giustizia 21 febbraio 2013 non favorevole alla posizione degli Ingegneri.

Di fronte a tali esiti – che hanno destato non poche perplessità – il Consiglio Nazionale ha richiesto una dettagliata relazione al legale che ha seguito per conto del CNI tutto l’iter giudiziario nei suoi molteplici passaggi (cd causa Mosconi).

La relazione del Prov. Avv. Bruno Nascimbene (che si allega) sottopone a revisione critica il percorso motivazionale seguito dal Consiglio di Stato per rigettare le ragioni delle rappresentanze degli Ingegneri.

La relazione segnala, in primo luogo, che la sentenza n.21/2014 del Consiglio di Stato non è coerente nemmeno con l’ordinanza di rinvio alla Corte di Giustizia, emessa dallo stesso Consiglio di Stato (in diversa composizione).

Ma soprattutto il Consiglio di Stato – nella sentenza citata – compie una inammissibile (perché non consentita) interpretazione della pronuncia della Corte di Giustizia e della “direttiva Architettura”.

Il giudice nazionale, infatti, deve applicare la sentenza della Corte di Giustizia al caso concreto, dando attuazione al principio di diritto affermato dalla Corte UE, ma non può interpretare la normativa comunitaria in modo diverso dall’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia, unica deputata, in via esclusiva, ad interpretare il diritto comunitario.

Invece è accaduto che il Consiglio di Stato abbia messo in dubbio l’idoneità del percorso formativo dell’Ingegnere italiano, per esercitare – ai sensi della direttiva – le attività proprie della professione di Architetto, mentre è la stessa direttiva a prevedere espressamente che il titolo di Ingegnere civile italiano di cui all’art.11 rispetta le condizioni dell’art.3.

Ovvero, il Consiglio di Stato ha messo in discussione e sovvertito un riconoscimento già effettuato a monte dalla direttiva, senza averne i poteri e allo stesso tempo “svalutando” i contenuti della sentenza della Corte di Giustizia UE.

Per giungere a tale risultato il giudice amministrativo di secondo grado compie una disamina, nel merito, delle qualifiche previste dalla direttiva, addirittura sostenendo che vi sarebbe un trattamento privilegiato dell’Ingegnere italiano (!) rispetto ad altri professionisti stranieri.

Ebbene, secondo il legale del CNI, tali valutazioni non sono di spettanza del giudice amministrativo e sono quindi da considerarsi vietate al medesimo.

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Convinti che la sentenza del Consiglio di Stato 9 gennaio 2014 n.21 sia una sentenza sbagliata, in punto di diritto, occorre allora interrogarsi sui rimedi a disposizione, secondo il nostro ordinamento.

Essendo il Consiglio di Stato giudice di ultima istanza, non è possibile impugnare tale sentenza in un ulteriore grado di giudizio (il ricorso per revocazione della sentenza è difficilmente praticabile).

Il Prof. Avv. Nascimbene suggerisce tre tipologie di rimedi (esposto-denuncia alla Commissione europea ; ricorso per Cassazione per violazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa ; azione di responsabilità nei confronti dello Stato italiano).

Il Consiglio Nazionale ritiene che siano più efficaci e quindi possano e debbano essere intraprese le prime due iniziative proposte : Esposto-denuncia alla Commissione Europea, perché il Consiglio di Stato non si è conformato e non ha applicato la sentenza della Corte di Giustizia 21 febbraio 2013 e ricorso per Cassazione (entro 6 mesi dalla data di pubblicazione della sentenza del Consiglio di Stato), censurando l’ineffettività nell’uso della giurisdizione da parte del giudice amministrativo.

E’ da notare, inoltre, che i due rimedi possono essere attivati contestualmente, ovvero l’uno non esclude l’altro (si rimanda, comunque, alla lettura della relazione dell’Avv. Nascimbene allegata).

Mentre però l’esposto alla Commissione Europea può essere proposto direttamente dal CNI, per promuovere utilmente un ricorso per Cassazione per violazione da parte del giudice amministrativo dei limiti alla sua giurisdizione, occorre la costituzione di una della Parti ricorrenti in via principale nel giudizio che ha dato luogo alla sentenza n.21/2014 (es. : Ing. Mosconi, Ordine Ingegneri di Verona, Ordine Ingegneri di Venezia).

Non è poi da tralasciare il fatto che dinanzi ad altra Sezione del Consiglio di Stato pende un altro ricorso (RG n.3283/2012) avente ad oggetto la stessa tematica (competenze sugli edifici vincolati), in cui sono costituiti l’Ordine Ingegneri di Verona ed il CNI ad adiuvandum, ragione per cui nei prossimi mesi ci sarà un’altra pronuncia, che potrebbe anche decidere di applicare la sentenza della Corte di Giustizia UE, andando così di contrario avviso rispetto alla sentenza Consiglio di Stato n.21 del 2014.

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Come si vede, nonostante l’inaspettato esito negativo della sentenza del Consiglio di Stato nella causa Mosconi, il Consiglio Nazionale – rispondendo alle sollecitazioni pervenute da molteplici Ordini territoriali degli Ingegneri -, convinto della bontà delle proprie ragioni, intende proseguire nelle iniziative a sostegno delle prerogative e degli interessi degli Ingegneri civili italiani.

Questo anche per evitare che sia consentito agli Ingegneri migranti da Paesi comunitari diversi dall’Italia di intervenire sugli immobili storici e culturali, negando invece tale possibilità agli Ingegneri italiani (che rispettano le condizioni fissate dalla direttiva Architettura), in aperta violazione dell’art.53 della legge comunitaria per il 2012 (v. allegati).

Per far questo, però, è necessario che tutte le rappresentanze istituzionali della Categoria facciano la propria parte, appoggiando senza condizioni e con tutte le energie il rinnovato tentativo di tutelare i professionisti Ingegneri che il CNI ha in animo di promuovere, come sopra indicato.

Si auspica, pertanto, soprattutto da parte degli Ordini ricorrenti nella causa principale che ha portato alla sentenza n.21/2014 del Consiglio di Stato e in quella pendente sempre di fronte al Consiglio di Stato, in attesa di discussione, una piena adesione alle proposte qui formulate.

Si garantisce, al contempo, l’assistenza tecnica e la collaborazione del Consiglio Nazionale, - sotto forma di intervento ad adiuvandum in giudizio – a tutti gli Ordini che vorranno promuovere impugnazioni dinanzi al TAR a sostegno di propri iscritti Ingegneri civili, chiedendo l’applicazione della sentenza della Corte di Giustizia UE 21 febbraio 2013.

Nell’attendere un positivo riscontro alla richiesta di attivarsi qui espressa, si comunica che di ogni novità intervenuta sarà data notizia tramite circolare.


ALLEGATI:
1) Sentenza Corte di Giustizia UE, causa C-111/12, 21 febbraio 2013;
2) Art.53 della legge n.234/2012 ;
3) Sentenza Consiglio di Stato 9 gennaio 2014 n.21 ;
4) Relazione Prof. Avv. Nascimbene del 5 febbraio 2014.

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