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Rif. SZ09167
Documento 11/05/2005 ORDINANZA
Fonte CONSIGLIO DI STATO
Tipo Documento ORDINANZA
Numero 2379
Data 11/05/2005
Riferimento
Note INTERO TESTO
Allegati
Titolo COMPETENZE PROFESSIONALI - INGEGNERI CIVILI - DIRETTIVA 384/1985/CEE - EQUIPOLLENZA CON LA LAUREA IN ARCHITETTURA - ORDINANZA DI RIMESSIONE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE
Testo FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso giurisdizionale proposto dinanzi al TAR Toscana l'ing. F. R. laureato in Ingegneria civile nell'anno 1979 e all'albo degli ingegneri di......., impugnava il provvedimento del 2.9.1997 con il quale la Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Firenze, Pistoia e Prato ha negato il rilascio del nulla osta per lavori di straordinaria manutenzione di un immobile sottoposto a vincolo con la motivazione che "il progetto non può essere accolto in quanto è stato redatto da un tecnico non abilitato, in quanto non iscritto all'albo degli architetti".

A fondamento del gravame il ricorrente deduceva:

- che la disposizione contenuta nell'art. 52 R.D. 22 ottobre 1925, n. 2537, secondo cui "le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla legge 20 giugno 1909, n. 364 per l'antichità e belle arti, sono di spettanza della professione di architetto, ma la parte tecnica può essere compiuta tanto dall'architetto quanto dall'ingegnere", deve ritenersi abrogata per effetto delle successive disposizioni riguardanti la materia;

- che per effetto della direttiva comunitaria 10 giugno 1985, n. 384 in tema di riconoscimenti dei titoli di studio, le cui disposizioni sono direttamente applicabili e prevalgono sul diritto interno dei paesi membri della CEE, gli ingegneri civili laureati prima della entrata in vigore della direttiva sono automaticamente abilitati in tutta la Comunità (e quindi anche in Italia) all'esercizio della professione di architetto.

2. Con la sentenza indicata in epigrafe il TAR adito ha respinto il ricorso avendo ritenuto infondate le censure prospettate nel ricorso anche alla luce del parere espresso dal Consiglio di Stato, Sez. II, con atto n. 386/97 del 23 luglio 1997.

3. Nei riguardi della anzidetta sentenza hanno proposto distinti atti di appello l'ing. R. F. e l'Ordine degli Ingegneri della Provincia di Pistoia, riproponendo le medesime questioni giuridiche prospettate in primo grado.

4. Ciò premesso, conviene anzitutto osservare che la disposizione di cui all'art. 52 R.D. n. 2537/1925 non risulta essere stata mai abrogata dalle successive leggi che hanno dettato norme in tema di tutela delle cose di interesse storico artistico, o di competenza professionale degli architetti e ingegneri.

La circostanza invero che tale disposizione non sia stata ripetuta nella legge n. 1089/1939 non può certo valere come una sorta di tacita abrogazione non rinvenendosi in essa alcuna norma incompatibile con la particolare competenza riservata agli architetti dal citato art. 52.

È inoltre inconferente, al fine di comprovare l'asserita abrogazione, il richiamo di altre normative statali in quanto:

- il T.U. del 1933 sulla istruzione superiore (art. 173 e tabella allegata), si limita ad equiparare le lauree di architettura e di ingegneria civile in funzione dell'accesso alla professione di architetto;

- la legge 7 dicembre 1961, n. 1264 (art. 15, 3. comma) nel prevedere come requisito per ricoprire il ruolo di architetto presso le Soprintendenze il possesso della laurea in architettura o in ingegneria non stabilisce con ciò alcuna equipollenza tra le due lauree ai fini dello svolgimento della attività professionale.

5. Non altrettanto certo è se la disposizione in questione sia sopravvissuta alla Direttiva comunitaria 10 giugno 1985, n. 384 che ha disciplinato il reciproco riconoscimento dei titoli di studio nel settore della architettura prevedendo:

- all'art. 10, che "Ogni Stato membro riconosce i diplomi, i certificati e gli altri titoli di cui all'art. 11 rilasciati dagli altri Stati membri ai cittadini degli Stati membri .... ed attribuisce loro, sul proprio territorio lo stesso effetto di diplomi, certificati ed altri titoli nel campo della architettura ad esso rilasciati";

- ed all'art. 11, che, per quanto riguarda l'Italia i titoli universitari che consentono l'accesso alla professione di architetto in ambito comunitario sono sia il "il diploma di laurea in architettura" sia il "diploma di laurea nel settore delle costruzioni civili", accompagnati dal "diploma di abilitazione all'esercizio indipendente di una professione nel settore dell'architettura".

Alla Direttiva comunitaria l'Italia ha dato attuazione con il D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 129.

Peraltro il legislatore italiano, mentre ha indicato specificatamente per gli altri Stati comunitari i titoli riconosciuti equipollenti, ha omesso di indicare in maniera espressa i titoli universitari che consentono in Italia, e per i professionisti italiani, di ottenere l'iscrizione all'albo degli architetti.

6. Si pone perciò il problema di stabilire se la equiparazione tra laureati in architettura e laureati in ingegneria civile, ai fini dell'esercizio della attività professionale nel settore della architettura, possa essere effetto della applicazione diretta nel nostro ordinamento interno degli artt. 10 e 11 della Direttiva, di cui è indubbia la natura self-executing.

Se così non fosse si potrebbero determinare - secondo la prospettazione delle parti appellanti - conseguenze paradossali in danno dell'ingegnere italiano: questi infatti potrebbe svolgere la professione di architetto in tutti gli Stati dell'Unione ma non nello Stato di appartenenza, cioè in Italia, ove peraltro potrebbero esercitare la loro attività professionale gli ingegneri civili provenienti da altri Stati dell'Unione.

Si tratterebbe in definitiva di una vera e propria "discriminazione a rovescio" in danno di cittadini di uno Stato membro (l'Italia) come effetto indiretto della applicazione al medesimo Stato membro della disciplina comunitaria.

L'evidente irragionevolezza di un siffatto risultato, con la connessa lesione del principio di non discriminazione tra cittadini degli Stati membri dell'Unione, sarebbe invece superato se si potesse affermare che la equiparazione tra i laureati italiani in architettura e in ingegneria civile è già contenuta negli artt. 10 e 11 della Direttiva.

7. La soluzione della controversia all'esame del Collegio - nella quale si discute se un ingegnere sia abilitato a progettare interventi edilizi su un immobile di interesse storico-artistico che per l'art. 52 R.D. n. 2537/1925 rientrano nella competenza professionale dell'architetto - dipende dunque dalla interpretazione delle citate norme comunitarie, per cui si ritiene di dover chiedere alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee di pronunciarsi ai sensi dell'art. 234 del Trattato CE sui seguenti quesiti:

a) se ai sensi degli artt. 10 e 11 della Direttiva CE 10 giugno 1985, n. 384 siano da ritenere equipollenti per l'Italia le lauree di architettura e di ingegneria civile rilasciate da Università e istituti universitari italiani, nel senso che i laureati in ingegneria civile muniti della relativa abilitazione siano ammessi ad esercitare la professione di architetto e quindi a svolgere tutti i compiti e gli incarichi che eventuali norme interne dello Stato abbiano riservato alla competenza professionale dell'architetto;

b) ovvero, se le norme di cui ai citati artt. 10, 11 abbiano solo equiparato le due lauree (in architettura e ingegneria civile) nel senso che entrambe consentano di accedere alla professione di architetto previo superamento dello specifico esame di abilitazione all'esercizio della professione di architetto.

8. Resta riservato all'esito della soluzione della questione pregiudiziale ogni ulteriore statuizione sul rito sul merito e sulle spese di giudizio.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, riunisce i due ricorsi in appello in epigrafe indicati e, ritenutane la rilevanza, rimetta ai sensi dell'art. 234 del Trattato CE alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee di decidere pregiudizionalmente quesiti indicati alle lett. a) e b) della motivazione.

Manda alla Segreteria della Sezione di trasmettere alla stessa Corte la presente ordinanza con gli atti di causa.

Sospende il giudizio in corso fino alla definizione della prospettata questione pregiudiziale.

Riserva ogni altra pronuncia, anche relativamente alle spese, all'esito della ordinanza di rimessione.

Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2005 dal Consiglio di Stato.

N.R.G. 1368-1507/2002
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