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Rif. SZ02665
Documento 16/12/1991 SENTENZA
Fonte TAR LAZIO
Tipo Documento SENTENZA
Numero 1920
Data 16/12/1991
Riferimento
Note MASSIMA E PARTE INTERO TESTO
Allegati
Titolo INGEGNERI - IMPIANTI ELETTRICI - PUBBLICA ILLUMINAZIONE
Testo La norma di cui all'art. 54 R.D. 23 ottobre 1925 n. 2537, al di là del suo carattere meramente eccezionale e transitorio, dimostra che, secondo il sistema di ripartizione delle competenze professionali delineato nel R.D. cit., la nozione di edilizia civile non può essere estensivamente interpretata, dovendo da essa escludersi i lavori e le opere colà espressamente menzionati, fra i quali le applicazioni della fisica, a nulla rilevando inoltre l'evoluzione degli studi per il conseguimento della laurea in architettura ai fini dell'equiparazione di questa con quella di ingegnere; pertanto gli impianti di pubblica illuminazione, classificabili fra le applicazioni della fisica e non fra le opere edilizie, formano oggetto dell'esclusiva competenza professionale degli ingegneri).


DlRITTO
Nell'impugnare l'atto di controllo negativo emesso dal Comitato regionale di controllo in ordine alla deliberazione del Consiglio comunale di Montefiascone che aveva affidato al ricorrente l'incarico per la redazione del progetto dell'impianto di pubblica illuminazione lungo la strada comunale Coste-Cunicchio il dott. arch. Mauro Trape ripropone il problema dei limiti della competenza professionale degli architetti, sostenendo, in un'ottica di interpretazione sistematico-evolutiva della normativa contenuta nel R.D. 23 ottobre 1925 n. 2537 che la generica espressione "edilizia civile", impiegata dall'art. 52 del cit. decreto per designare la competenza degli architetti, andrebbe intesa come comprensiva di qualsiasi opera connessa, quali gli impianti di pubblica illuminazione, restando escluse soltanto quelle esplicitamente riservate alla competenza professionale degli ingegneri.

Il ricorso è infondato.

L'art. 51 del R.D. n. 2537 del 1925 stabilisce che "sono di spettanza della professione di ingegnere il progetto, la condotta e la stima di una serie di lavori, fra i quali quelli relativi "in generale alle applicazioni della fisica".
Il successivo art. 52 individua nelle "opere di edilizia civile" (nonchè nei relativi rilievi geometrici e operazioni di estimo) il campo di attività degli architetti.
Ciò premesso rileva il Collegio che analogo problema è stato affrontato e risolto in senso negativo dal Consiglio di Stato con il parere della III Sezione n. 1538 in data 11 dicembre 1984 e con la recente decisione della IV Sezione n. 92 del 19 febbraio 1990, relativamente alle opere igieniche e alle strade urbane. Le argomentazioni che giustificano tale orientamento giurisprudenziale, di carattere testuale e logico-sistematico, appaiono pienamente condivisibili e applicabili anche alle opere che vengono in rilievo in questa sede.
Invero, anche a voler ammettere, secondo la linea interpretativa sostenuta dai resistenti, che, in astratto, il termine "edilizia civile" sia riferibile non soltanto alla realizzazione di edifici, secondo il suo più comune significato, ma anche ad altri generi di opere ed impianti, tale interpretazione risulta, in concreto testualmente incompatibile con la norma transitoria contenuta nel successivo art. 54, ultimo comma, del medesimo decreto, che, nel prevedere un ampliamento della competenza professionale di coloro i quali avevano conseguito entro una certa data il diploma di "architetto civile", previsto dagli ordinamenti universitari dell'epoca, autorizzava gli interessati a svolgere anche mansioni indicate nel precedente art. 51 - proprie, come si è visto, della professione di ingegnere - "ad eccezione però di quanto riguarda le applicazioni industriali e della fisica nonchè i lavori relativi alle vie, ai mezzi di comunicazione o di trasporto e alle opere idrauliche".

Questa disposizione dimostra, al di là del suo carattere meramente eccezionale e transitorio, che, secondo il sistema di ripartizione delle competenze professionali delineato dal R.D. del 1925, la nozione di "edilizia civile" non può essere estensivamente interpretata, dovendo da essa escludersi i lavori e le opere nella medesima disposizione menzionati, fra i quali le "applicazioni della fisica".
Ne consegue che gli impianti di pubblica illuminazione, classificabili fra le applicazioni della fisica, in quanto basati sulla utilizzazione dell'energia elettrica, e non fra le opere edilizie, formano oggetto della esclusiva competenza professionale degli ingegneri.
Nè può aderirsi alla tesi del ricorrente, secondo la quale i limiti delle competenze professionali degli ingegneri e degli architetti, come delineati dal R.D. del 1925, dovrebbero ritenersi superati dalla evoluzione successivamente intervenuta nei rispettivi corsi di studi universitari, che consentirebbe un'interpretazione estensiva delle disposizioni che disciplinano la competenza professionale degli architetti.
Non può, infatti, dubitarsi che il corso di laurea in ingegneria abbia sempre avuto e tuttora conservi, nei confronti di quello in architettura, una più spiccata caratterizzazione in senso tecnico-scientifica.
Per quanto riguarda, in particolare, lo studio delle materie attinenti agli impianti in questione, deve osservarsi che l'insegnamento di "fisica tecnica ed impianti" figura, peraltro, come meramente opzionale nell'ambito della scelta di una fra le cinque discipline comprese nell'area impiantistica, soltanto per uno dei quattro indirizzi (quello tecnologico) previsti dall'ordinamento degli studi della Facoltà di architettura introdotto con il D.P.R. 9 settembre 1982 n. 806 mentre è obbligatorio per tutti gli indirizzi previsti nel corso di laurea in ingegneria, che comprendono altresì un insegnamento biennale di "fisica" e uno di "elettronica", oltre a quelli di "misure elettriche" e "impianti elettrici" propri della specializzazione in ingegneria elettrotecnica (D.P.R. 31 gennaio 1960 n. 53).
Deve, quindi, escludersi che l'evoluzione degli studi per il conseguimento della laurea in architettura, pur avendo determinato un ampliamento del bagaglio delle conoscenze tecniche degli architetti, rispetto alla situazione esistente al momento dell'emanazione del decreto del 1925, abbia comportato una sostanziale equiparazione dei due titoli di laurea, ai fini che qui interessano, ove non si tratti, come affermato dal Consiglio di Stato nel cit. parere n. 1538 del 1984 di opere e impianti posti a diretto servizio di singoli fabbricati e, perciò, riconducibili alla nozione di edilizia civile.
Per le suesposte ragioni il ricorso deve essere respinto.
Le spese di giudizio, sussistendo giusti motivi, possono compensarsi fra le parti.


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