DOCUMENTO 12/02/1997 PARERE, CONSIGLIO DI STATO - I SEZIONE
FONTE CONSIGLIO DI STATO - I SEZIONE
TIPO DOCUMENTO PARERE
NUMERO
DATA 12/02/1997
RIFERIMENTO
NOTE

ALLEGATI
TITOLO CONSIGLIO COMUNALE - DIMISSIONE META' DEI CONSIGLIERI - SURROGA - PRECLUSIONE
TESTO

LA SEZIONE

Vista la relazione inviata con nota 31 dicembre 1996 (pervenuta il 30 gennaio 1997) prot. 15909/07 con la quale il Ministero dell'interno (Direzione generale amministrazione civile - Direzione centrale autonomie) ha chiesto il parere sul ricorso straordinario dei signori Savino Cefola, Nicola Albanese e Oronzo Albanese contro il decreto del Presidente della Repubblica 12 marzo 1996, con lo scioglimento del consiglio comunale di Barletta;

Esaminati gli atti ed udito il relatore;

Ritenuto in fatto quanto esposto dal Ministero riferente;

Considerato:

1. Nel consiglio comunale di Barletta - composto da trenta consiglieri più il sindaco - nell'adunanza del 6 febbraio 1996 sedici consiglieri hanno rassegnato le dimissioni dalla carica.

L'atto di dimissioni, sottoscritto congiuntamente da tutti i dimissionari, era motivato con una serie di critiche all'azione politica del sindaco in carica e conteneva l'esplicita dichiarazione dell'intento di provocare, attraverso le dimissioni collettive, lo scioglimento del consiglio e l'indizione di nuove elezioni.

Data lettura del documento, il sindaco-presidente ha osservato che si erano determinati i presupposti per il provvedimento di scioglimento del consiglio "da farsi con decreto del prefetto" ed ha chiuso i lavori.

Il giorno successivo - 7 febbraio 1996 - il prefetto ha sospeso il consiglio nominando un commissario straordinario; il 12 marzo 1996 è stato emanato il decreto del Capo dello Stato con lo scioglimento del consiglio. Infine il 26 marzo il decreto è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.


2. Con atto notificato il 24 luglio 1996, tre cittadini hanno proposto ricorso straordinario contro il decreto presidenziale di scioglimento.

Quanto alla legittimazione ed all'interesse a ricorrere, il primo dei ricorrenti asserisce che se invece di sciogliere il consiglio si fossero surrogati i dimissionari, egli si sarebbe trovato in condizione di essere proclamato consigliere. Gli altri due ricorrenti deducono invece che all'atto dello scioglimento del consiglio comunale essi erano in carica quali consiglieri di circoscrizione e che hanno perduto tale qualità, in quanto il rinnovo del consiglio comunale comporta, di diritto, anche lo scioglimento dei consigli di circoscrizione.

Nel merito i ricorrenti deducono che il decreto impugnato ha violato l'art. 31, comma 2-bis, della legge n. 142/1990.

Detta disposizione è stata introdotta dall'art. 7 della legge 15 ottobre 1993, n.415, ed è del seguente tenore: "Le dimissioni dalla carica di consigliere sono presentate dal consigliere medesimo ai rispettivi consigli. Esse sono irrevocabili, non necessitano di presa d'atto e diventano efficaci una volta adottata dal consiglio la relativa surrogazione che deve avvenire entro venti giorni dalla data di presentazione delle dimissioni".

Premesso che il presupposto dello scioglimento del consiglio comunale, ai sensi dell'art. 39, comma 1 lettera b), n. 2) della legge n. 142/1990, è l'impossibilità di funzionamento del consiglio, determinata dalle dimissioni di almeno la metà dei consiglieri, tale impossibilità non si realizza per il solo fatto che le dimissioni siano state presentate: esse, invero, sono bensì "irrevocabili" ma non ancora "efficaci" sino a che non sia proceduto alla surroga o comunque siano decorsi venti giorni.


3. Resiste al ricorso il comune di Barletta, nella persona del sindaco eletto nelle nuove elezioni svoltesi il 9 ed il 23 giugno 1996, il quale solleva varie eccezioni in rito ed in merito.


4. Il collegio osserva che si porrebbe, preliminarmente, il problema di verificare l'ammissibilità del ricorso, sotto il profilo che esso è stato proposto quando già si erano svolte le elezioni per il rinnovo degli organi comunali.

In effetti questa stessa sezione ha di recente espresso un parere nel senso dell'inammissibilità di un ricorso straordinario proposto in anologhe circostanze contro il decreto di scioglimento di un altro consiglio comunale.

Peraltro, nel caso testè ricordato risultava dagli atti non solo che alla data di proposizione del ricorso straordinario i nuovi organi comunali si erano già insediati, ma, altresì, che erano scaduti i termini per una eventuale impugnazione della convalida delle elezioni.

Quest'ultima circostanza, invece, nel caso presente non emerge univocamente dagli atti, sicchè risulterebbe necessaria una istruttoria. Ma poichè il ricorso, come si vedrà appresso, risulta infondato nel merito, il collegio si ritiene dispensato dall'esaminare questa e le altre questioni relative all'ammissibilità.


5. Nel merito, i ricorrenti si richiamano al parere 5 giugno 1996, n. 1058/96, di questa sezione, che conclude per l'accoglimento del ricorso straordinario proposto contro lo scioglimento del consiglio comunale di Biccari.

In quella occasione, infatti, il collegio ha affermato che il sistema normativo novellato dall'art. 7 della legge 15 ottobre 1993, n. 415, che aggiunge il comma 2-bis, all'art. 31 della legge n. 142/1990, esclude che l'impossibilità di funzionamento del consiglio comunale, presupposto dello scioglimento, si realizzi per il solo fatto della presentazione di un certo numero di dimissioni.

Seguendo quest'orientamento, anche nella presente fattispecie sembrerebbe doversi giungere all'accoglimento del ricorso.


6. Il caso presente, tuttavia, differisce per un aspetto essenziale da quello allora esaminato.

Il parere 6 giugno 1996 è stato pronunciato con riferimento ad una fattispecie nella quale dapprima aveva presentato le dimissioni un piccolo gruppo di consiglieri, ed il sindaco aveva immediatamente provveduto a convocare il consiglio comunale per procedere alla loro surrogazione. Nell'intervallo fra la diramazione delle convocazioni e l'adunanza consiliare, altri consiglieri avevano presentato le dimissioni, Si era così raggiunto un numero di dimissionari pari o di poco superiore alla metà dei consiglieri assegnati, ed il prefetto aveva sospeso il consiglio rendendo impossibile lo svolgimento dell'adunanza già convocata perla surrogazione dei primi dimissionari.

Nel caso presente, invece, come si è detto sopra, sedici consiglieri su trenta (o trentuno contando anche il sindaco) hanno presentato le dimissioni con un unico documento e con la dichiarata intenzione di provocare con ciò le dimissioni anche del sindaco, e comunque, lo scioglimento del consiglio.


7. Ora, in un caso del genere è impossibile negare che il solo fatto della presentazione (contestuale e motivata politicamente) delle dimissioni da parte della maggioranza dei consiglieri sia di per sè sufficiente a determinare quella paralisi dell'organo, che l'art. 39 comma 1, della legge 142/1990 assume come presupposto per lo scioglimento del consiglio.

A tacer d'altro, infatti, quel gesto equivale nella sostanza, ad un voto di sfiducia, e cioè ad un fatto previsto dalla medesima norma come causa dello scioglimento ope legis del consiglio comunale.

Vero è che, formalmente, la fattispecie del voto di sfiducia si può ritenere realizzata solo in quanto sia stata positivamente messa ai voti la relativa mozione, e questa abbia riportato la maggioranza prescritta. E questa rimane in effetti, la via maestra che deve percorrere il consiglio che voglia autodissolversi. Ma non si può negare che la presentazione contestuale delle dimissioni, da parte di un congruo numero di consiglieri, assuma politicamente lo stesso significato e debba dunque produrre, giuridicamente, gli stessi effetti.

In questa luce, la "novella" del 1993 s'interpreta correttamente come diretta ad evitare lo scioglimento anticipato del consiglio quante volte il quorum delle dimissioni si raggiunga - come nel caso esaminato nel parere del 6 giugno 1996 - esclusivamente per effetto di nuove dimissioni presentate quando è già avviato, nei termini il procedimento di surrogazione (nulla quaestio, ovviamente, se le nuove dimissioni sopravvengono quando i primi dimissionari sono stati già surrogati: in tale ipotesi il presupposto dello scioglimento si riteneva pacificamente escluso anche prima della"novella"del 1993). Essa impedisce che le occasionali dimissioni di taluno dei consiglieri di maggioranza (dimissioni oltre tutto, non sempre interpretabili come manifestazione di un dissenso politico, e che, quand'anche lo fossero, sarebbero comunque finalizzate non già a provocare lo scioglimento dell'organo, ma anzi a consentirne un miglior funzionamento grazie all'uscita dei dissidenti ed alla loro surrogazione con nuovi consiglieri presumibilmente consenzienti con il sindaco in carica) offrano a una capziosa minoranza il destro per provocare una dissoluzione del collegio, in una situazione nella quale, se si procedesse ad una regolare verifica della fiducia, non emergerebbe alcuna crisi politica.


8. In definitiva, può concludersi che, realizzatasi la fattispecie delle dimissioni della metà dei consiglieri, allorchè avvenga contestualmente o anche in fasi successive ma non sia stata ancora attivata la procedura della surroga, questa resta preclusa essendosi ormai verificata l'ipotesi prevista dall'art. 39, comma 1, lettera b), n. 2 della legge n. 142/1990.

In questi casi è sufficiente il fatto delle dimissioni di metà dei consiglieri e la produzione dell'effetto prodromico della loro irrevocabilità, per determinare senz'altro l'ipotesi dissolutoria, per essere venuta meno l'integrità strutturale minima per il funzionamento dell'organo. E ciò preclude ogni possibilità di attivazione dei procedimenti integrativi per il ripristino del numero dei consiglieri assegnati. Mentre nei casi in cui sia stata già attivata la procedura della surroga di uno o più consiglieri dimissionari, dovendosi la stessa portare necessariamente a compimento per la realizzazione dell'effetto finale e cioè l'efficacia delle loro dimissioni con l'adozione da parte del consiglio comunale della loro surroga, il numero degli stessi non è computabile per la realizzazione dell'ipotesi dissolutoria di cui all'art. 39, comma 1, lettera b)n. 2), della legge n. 142/1990.


9. Alla luce di queste considerazioni, il ricorso va respinto.

P.Q.M.

esprime il parere che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile.



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